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Battipaglia, area inedificabile in via Molise. Il Tar blocca il costruttore – VIDEO e SENTENZA

BATTIPAGLIA. Sentenza del Tar Salerno sull’ennesima vicenda legata a permessi di costruzione rilasciati dal Comune di Battipaglia.

Come nel caso Landi (Consiglio di Stato), anche su tale vicenda (caso Impegno), il Tar Salerno ha dichiarato legittimo il provvedimento di autotutela del permesso di costruire che si sarebbe formato per silenzio assenso. Il permesso concerneva l’intervento edilizio di nuova costruzione su una area inedificata ed inedificabile ubicata in via Molise (zona Serroni basso).

Inedificabile perché anche il Tar ha accertato la esatta destinazione urbanistica dell’area su cui vi sono impressi i vincoli di uso pubblico per attrezzature zonali, con previsione di chiesetempli e di parcheggi pubblici.

Il video con l’avvocato Ferdinando Belmonte

La sentenza

Pubblicato il 17/01/2017

N. 00137/2017 REG.PROV.COLL.

N. 01080/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1080 del 2015, proposto da:
Impegno s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Lodovico Visone C.F. VSNLVC57D15G796D, Angelo Pierri C.F. PRRNGL73L31H703V, con domicilio eletto presso l’avv. Lodovico Visone in Salerno, via Dogana Vecchia n. 40;

contro

Comune di Battipaglia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Lullo C.F. LLLGPP54D16G039K, legalmente domiciliato in Salerno, presso la Segreteria del T.A.R.;

e con l’intervento di

ad opponendum:
Circolo Vento in Faccia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ferdinando Belmonte C.F. BLMFDN85C16A717E, con domicilio eletto in Salerno, via Bastioni n. 41/B, presso l’avv. Riccio;

per l’annullamento

del provvedimento n. 8/15 del 13.3.2015, prot. n. 18271, a firma del Dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Battipaglia, recante l’annullamento del silenzio-assenso formatosi in relazione all’istanza di permesso di costruire del 17.10.2011, prot. n. 76501, di tutti gli atti connessi e presupposti

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Battipaglia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2016 il dott. Ezio Fedullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Espone la società ricorrente di aver presentato, in data 17.10.2011, una istanza intesa al rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di un complesso residenziale alla località “Serroni” del Comune di Battipaglia, sul lotto distinto in catasto al foglio n. 26, p.lle 981, 1013 e 1530, ricadente in zona omogenea B2 del vigente P.R.G..

Espone altresì che, a seguito della sua comunicazione del 7.2.2012, con la quale veniva dato atto della avvenuta formazione per silentium del titolo edilizio ex art. 20 d.P.R. n. 380/2001, sopravveniva il provvedimento dirigenziale prot. n. 10012 dell’8.2.2012, con il quale, oltre a diffidare la parte ricorrente dall’esecuzione dei lavori, sul presupposto che l’istanza di permesso di costruire era stata integrata solo tardivamente con un documento essenziale per la formazione del silenzio-assenso (documento rappresentato dalla dichiarazione asseverata di conformità urbanistica dell’intervento), veniva disposta la “riapertura” dell’istruttoria: il provvedimento in questione veniva impugnato dinanzi al T.A.R. con il ricorso n. 694/2012.

Allega quindi che, con il provvedimento prot. n. 20169 dell’8.3.2013, il Comune di Battipaglia disponeva infine il diniego dell’istanza: il nuovo provvedimento veniva impugnato con motivi aggiunti al ricorso suindicato.

Le proposte impugnazioni venivano decise dal T.A.R. con la sentenza n. 909 del 3.4.2014, confermata dal giudice di appello, con la quale veniva accertata l’avvenuta formazione del silenzio-assenso e disposto l’annullamento del provvedimento di diniego, siccome non rispettoso delle forme e dei requisiti necessari per il legittimo esercizio del potere di autotutela.

Infine, completa l’esposizione in fatto la parte ricorrente, interveniva il provvedimento di annullamento del titolo abilitativo tacito, al cui annullamento è volto il ricorso in esame, con il quale vengono formulate le censure che di seguito si riassumono: 1) il provvedimento impugnato è affetto dal vizio di elusione del giudicato, avendo il T.A.R., con la sentenza suindicata, accertato la sussistenza dei presupposti di accoglibilità dell’istanza di permesso di costruire, con particolare riguardo al profilo della conformità urbanistica dell’intervento; 2) l’annullamento del titolo edilizio sarebbe stato possibile solo qualora l’amministrazione avesse inteso perseguire un interesse pubblico “forte”, connesso ad una previsione urbanistica di inedificabilità assoluta dell’area, non essendo sufficiente la mera finalità di ripristinare l’ordine giuridico; 3) in contrasto con i doveri di lealtà e correttezza, derivati del principio di buona amministrazione che deve ispirare l’azione della p.a., questa, solo dopo la formazione del silenzio-assenso e la sua consacrazione giurisdizionale, ha inteso esercitare il potere dispositivo originario, ponendo tardivamente rimedio all’inerzia ormai consumata; 4) è stata omessa l’effettiva comparazione degli interessi coinvolti, non essendo sufficiente il rilievo concernente la mancata realizzazione di alcuna opera di costruzione da parte del privato, ma dovendo individuarsi il pregiudizio sofferto dalla società ricorrente in conseguenza dell’intervenuta formazione del titolo edilizio per silentium, della riapertura dell’istruttoria allorché la società ricorrente intendeva dare corso ai lavori, della necessità di esperire un doppio rimedio giurisdizionale per vedere acclarata la formazione del titolo edilizio; in siffatto contesto, l’amministrazione avrebbe quantomeno dovuto esporre le ragioni della sua ingiustificata inerzia, non provvedendo tempestivamente alla cura dell’interesse pubblico ad essa affidato, e della pretermissione delle esigenze di semplificazione ed accelerazione contemplate dal legislatore; 5) il provvedimento di annullamento è corredata da una motivazione generica ed espressa in forma perplessa ed ipotetica, non potendo considerarsi la “concertazione degli standards”, di cui l’amministrazione afferma l’omissione, un presupposto per l’assentibilità del progetto, oltre che contraddittoria, dal momento che se da un lato si afferma il contrasto del titolo con gli strumenti di piano, dall’altro l’amministrazione si duole della mancata concertazione degli standards, così riconoscendo la possibilità dell’intervento; 6) non sussiste la contestata non conformità urbanistica dell’intervento, ricadendo esso in zona omogenea B2, secondo la Tavola 9, con la previsione di un indice di fabbricabilità territoriale di 3 mc/mq: né è possibile opporre la previsione della Tavola n. 6, atteso che l’individuazione delle zona omogenee è operata dalle Tavole nn. 8 e 9, mentre alle Tavole nn. 5 e 6 sono state affidate mere indicazioni circa l’asset secondario, non vincolante, del disegno potenziale delle urbanizzazioni da realizzare nelle varie zone omogenee, rappresentando una anticipazione del momento esecutivo, che non può modificare la zonizzazione generale, nel rispetto dell’affidamento del privato; l’area di interesse è invero edificabile sia che si consideri l’indice territoriale per la zona omogenea B2, sia che si abbia riguardo all’indice proprio delle attrezzature di interesse comune di cui alla Tavola n. 6; il volume è stato invero ottenuto applicando l’indice territoriale al valore territoriale dell’intera superficie ricompresa in zona omogenea B2, secondo una metodologia costantemente applicata dal Comune di Battipaglia in tutti i casi in cui le aree ricadenti in zone omogenee di tipo B e C sono risultate investite da previsioni disegnate dalla Tavola n. 6; né sono indicate concrete ragioni di interesse pubblico a distanza di più di quaranta anni dalla formazione del piano, tenuto conto che risulta realizzata nel medesimo quartiere la chiesa rionale di S. Antonio, con la conseguente sterilizzazione della previsione grafica della Tavola n. 6; 7) con regolamento approvato con la delibera n. 161/1997, il Comune di Battipaglia ha stabilito che il termine per concludere il procedimento di annullamento di ufficio è di 20 giorni, nella specie decorrente dalla sentenza n. 909/2014, con la conseguente tardività del provvedimento di autotutela impugnato.

Il difensore del Comune di Battipaglia si oppone all’accoglimento del ricorso, richiamando il contenuto della relazione del Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia prot. n. 38545 del 4.6.2015, con la quale, a dimostrazione della non conformità urbanistica dell’intervento de quo e quindi della illegittimità del titolo edilizio formatosi per silentium, viene evidenziato, in sintesi, quanto segue:

– il permesso di costruire, richiesto ai sensi dell’art. 5 l. n. 106/2011, insiste su area non qualificabile come urbana “degradata”, ai sensi della norma citata, nessun manufatto essendo presente sulla stessa, dovendo riservarsi la premialità aggiuntiva prevista dalla norma suindicata ai soli interventi edilizi aventi come dato di partenza “edifici già esistenti” e non semplicemente edificabili in base alla normativa urbanistica vigente;

– l’intervento edilizio non è conforme alla disciplina urbanistica prevista dal P.R.G., in quanto l’area ricade in parte in zona di “uso pubblico con previsioni di attrezzature religiose”, in parte in strada di progetto e parcheggi pubblici, come indicato nella Tavola n. 6 (“zonizzazione e rete viaria”) del P.R.G.: è vero che l’intervento ricade nella più estesa zona omogenea B2, così come definita nella Tavola n. 9, ma nello specifico della Tavola n. 6 si evince che essa ricade in zona F di uso pubblico per attrezzature zonali, le quali rappresentano le aree destinate a standard della zona B2, per cui l’area in oggetto al massimo potrebbe essere edificabile solo nella parte destinata a “chiesa”, dovendo precisarsi che l’indice dei 3 mc/mq delle zone destinate ad uso pubblico è riferito solo alle previsioni in esse contenute;

– essendo decaduto il vincolo preordinato all’esproprio, nelle aree destinate dal P.R.G. ad attrezzature di uso pubblico si applicano, ex art. 38 l.r. n. 16/2004, i limiti di edificabilità di cui all’art. 4 l.r. n. 17/1982, per cui l’area ad uso pubblico con previsione di attrezzature religiose, che ricade nel centro abitato, può ritenersi come zona bianca in cui sono consentiti i soli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria;

– la destinazione a strada di progetto e parcheggi pubblici rientra nel concetto di vincolo conformativo, essendo consentita la realizzazione da parte dei privati in regime di economia di mercato, con la conseguente preclusione alla riespansione della disciplina dettata nella Tavola n. 9 del vigente P.R.G.;

– è utile rimarcare la distinzione tra la Tavola n. 9, che individua soltanto le “zone territoriali omogenee” in cui il redattore del P.R.G. ha suddiviso il territorio comunale ai fini della determinazione della densità edilizia insediabile in ogni zona, e la Tavola n. 6, cui è demandato il disegno urbanistico del suolo (“zonizzazione”) e che essenzialmente traduce graficamente le previsioni riportate in Tavola 9, andando a “calare” sul territorio i pesi insediativi, unitamente alle relative dotazioni di attrezzature e servizi;

– in ogni singola zona omogenea il progettista del P.R.G. ha ritenuto di individuare, rispetto agli indici ed ai parametri di trasformazione definiti, una organizzazione funzionale del territorio rispetto agli obiettivi che il P.R.G. si prefiggeva di raggiungere, in particolare:

la riorganizzazione della maglia viaria;

la distribuzione delle dotazioni (standard) in funzione dei pesi insediativi al contorno, localizzando le superfici e le destinazioni d’uso;

la definizione delle superfici fondiarie su cui insediare le volumetrie territoriali assegnate alle singole zone omogenee;

– il disegno urbanistico della Tavola 6 ter non è altro che una visualizzazione organicamente bilanciata del dimensionamento complessivo del P.R.G.;

– se venisse seguita la tesi secondo cui tutta la superficie ricadente nell’area individuata in Tavola 9 del P.R.G. quale B2 vada considerata edificabile, utilizzando l’indice di fabbricabilità territoriale di 3,00 mc/mq e fondiario di 5 mc/mq, la volumetria insediata nella zona porterebbe ad un fortissimo squilibrio tra il peso urbanistico insediato sull’area e le dotazioni minime di attrezzature e servizi.

E’ intervenuto in giudizio, ad opponendum, il Circolo di Legambiente Vento in Faccia.

La parte ricorrente, con la memoria del 12.12.2015, ha eccepito la carenza di legittimazione del Circolo interveniente e ribadito la tardività del provvedimento comunale di autotutela, anche facendo leva sulla violazione del termine ragionevole di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990.

In data 18.6.2015 la parte ricorrente ha depositato la relazione tecnica a firma dell’arch. Bruno Di Cunzolo, con la quale, in replica alla memoria difensiva comunale, viene rilevato, tra l’altro, che:

– mentre l’individuazione delle zone omogenee è contenuta nelle tavole 8 e 9 del vigente P.R.G., alle tavole 5 e 6 sono affidate mere indicazioni circa l’asset secondario, non vincolante, del disegno potenziale di P.R.G.;

– la tavola 6 ha esplicato una mera funzione equivalente ad un piano particolareggiato ed in quanto tale ha visto perdere di efficacia le proprie previsioni dopo dieci anni;

– in ogni caso, il disegno della tavola n. 6 è stato modificato con plurimi interventi pubblici inerenti opere pubbliche e l’assetto della viabilità, che a parità di bilancio hanno determinato lo stato attuale del disegno urbano;

– non occorre alcun beneficio derogatorio, in quanto l’area in ogni caso detiene un valore territoriale esprimibile di volume residenziale pari a 3 mc/mq, che da’ luogo ad una potenzialità residenziale di mc. 10.254, mentre il progetto in esame prevede una volumetria complessiva di mc. 6.965,05, e la volumetria complessiva comprensiva anche della volumetria a standard risulta pari a mc. 8.708,48;

– a dimostrazione che lo standard risulta in ogni caso controllato sovviene l’esistenza della chiesa realizzata in area limitrofa a quella in esame, nello stesso quartiere di Serroni, donata da privati alla comunità religiosa, area da ultimo ampliata con l’approvazione di un P.U.A., che ha rimodulato il comprensorio ex 167 limitrofo e riallocato l’area e la struttura religiosa, con l’aumento degli standard di quartiere con un saldo positivo di mq. 10.845, mentre l’area della società ricorrente è estesa solo mq. 3.418.

Con l’ordinanza istruttoria n. 271/2016 il Tribunale, rilevato che “in relazione al ricorso n. 2364/2013, avente ad oggetto questioni fattuali e giuridiche in parte comuni al ricorso in esame, il Tribunale, con l’ordinanza n. 2562 del 4.12.2015, ha disposto incombenti istruttori, nelle forme della verificazione”, ha disposto di acquisire agli atti del presente giudizio le risultanze della disposta verificazione nonché di “richiedere alla Cancelleria del Tribunale penale di Salerno la trasmissione di copia della sentenza n. 1126/2001 pronunciata dal giudice monocratico dott. Videtta, menzionata dalla parte ricorrente ma non prodotta agli atti del giudizio”: i suddetti incombenti istruttori sono stati successivamente eseguiti e, dopo lo scambio di ulteriori memorie tra le parti, all’esito di una articolata discussione orale, il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione di merito.

DIRITTO

Deve preliminarmente affrontarsi la questione, sollevata dalla parte ricorrente, attinente alla legittimazione ad intervenire in giudizio, in funzione oppositiva rispetto all’accoglimento del ricorso, del Circolo di Legambiente denominato “Vento in Faccia”.

La questione deve essere risolta in senso negativo, con la conseguente declaratoria della inammissibilità dell’intervento ad opponendum del suddetto sodalizio.

Come recentemente ribadito dal giudice amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 9 del 2 novembre 2015), “la legittimazione attiva (e, dunque, all’intervento in giudizio) di associazioni rappresentative di interessi collettivi obbedisce alle stringenti regole di seguito precisate. È necessario, innanzitutto, che la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati (Cons. St., sez. IV, 16 novembre 2011, n. 6050). È, inoltre, indispensabile che l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 27 aprile 2015, n. 2150) (…) Resta, infine, preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia, occorrendo, si ripete, per autorizzare l’intervento di un’associazione esponenziale di interessi collettivi, un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso (Cons. St., sez. III, 9 giugno 2014, n. 2892)”.

Ebbene, applicando le suindicate coordinate interpretative alla presente vicenda processuale, deve osservarsi che, tra gli effetti del provvedimento di annullamento impugnato (alla cui conservazione, quindi, la parte interveniente dovrebbe avere un interesse qualificato) e le finalità statutarie del Circolo denominato “Vento in Faccia”, non è ravvisabile alcun concreto ed immediato rapporto di interferenza, tale da sorreggere l’interesse all’intervento che costituisce il fulcro costitutivo della legittimazione ad intervenire del soggetto (collettivo) che non sia parte necessaria del processo amministrativo.

Invero, se il provvedimento impugnato impinge esclusivamente nella materia urbanistico-edilizia, le finalità statutarie del Circolo interveniente, quali sono configurate dall’art. 4 dell’atto costitutivo e dall’art. 3 dello statuto, afferiscono esclusivamente alla materia della tutela ambientale (vi si legge infatti che “il Circolo persegue le seguenti finalità solidaristiche: promuovere ed organizzare ogni forma di volontariato dei cittadini, soci e non, al fine di salvaguardare e/o recuperare l’ambiente naturale e i beni culturali, in particolare promuovendo ed organizzando in proprio o in collaborazione con enti e associazioni, servizi di protezione civile, nonché di vigilanza sull’applicazione delle norme poste a tutela dell’ambiente e della salute”).

Né potrebbe addivenirsi a diversa conclusione sulla scorta della predicata sussistenza del requisito della vicinitas, alla luce del fatto che la sede legale del Circolo ricadrebbe nel medesimo comprensorio urbanistico interessato dall’intervento edilizio oggetto di controversia.

Basti osservare, in senso contrario alla rilevanza di tale circostanza ai fini della dimostrazione della legittimazione all’intervento del Circolo “Vento in Faccia”, che il suddetto criterio non si presta ad abbracciare, tra gli indici – di cui esso si sostanzia – di stabile collegamento del soggetto interveniente con la sfera di interessi sulla quale incide il provvedimento oggetto del giudizio, un dato meramente formale quale la sede legale di un ente collettivo, perseguente scopi statutari qualitativamente non coincidenti con l’assetto di interessi costituito e/o regolato dal provvedimento impugnato.

Invero, poiché la ratio del requisito della vicinitas consiste nella (presumibile, sulla scorta di un rapporto di contiguità spaziale) esistenza di un rapporto di interferenza tra l’intervento edilizio oggetto di controversia e la qualità della vita di chi risieda stabilmente in una determinata parte del territorio, è evidente che esso non può essere applicato con riguardo ad un ente collettivo ergo morale, la cui sfera di interessi non può che essere delimitata, per contro, alla luce dell’analisi delle finalità statutarie dallo stesso perseguite.

L’atto di intervento del Circolo “Vento in Faccia”, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.

Procedendo all’esame dei motivi di ricorso, deve preliminarmente osservarsi che si discute della legittimità del provvedimento di autotutela adottato dal Comune intimato nei riguardi del titolo edilizio formatosi per silentium – come certificato con la sentenza di questo Tribunale n. 909/2014, passata in cosa giudicata – in relazione all’istanza di permesso di costruire per la realizzazione di un complesso residenziale presentata dalla società ricorrente in data 17.10.2011.

Ebbene, deve subito rilevarsi l’infondatezza delle censure intese a contestare la legittimità dell’impugnato provvedimento di annullamento, perché non rispettoso dell’affidamento maturato in capo alla società ricorrente, carente di motivazione in ordine all’interesse pubblico giustificativo della caducazione del titolo edilizio formatosi per silentium ed elusivo del giudicato formatosi in relazione alla richiamata sentenza di questo Tribunale n. 909/2014.

Se invero, da un lato, la sentenza suindicata ha semplicemente accertato l’avvenuta formazione, sull’istanza di parte ricorrente, del silenzio-assenso, senza produrre alcun effetto conformativo nei confronti dell’eventuale successivo esercizio del potere di autotutela avente ad oggetto l’atto abilitativo formatosi per silentium (diverso da quello inteso a vincolarlo all’osservanza della regola generale di corredare l’eventuale provvedimento di annullamento di una adeguata motivazione in ordine ai profili di contrasto dell’intervento rispetto alla vigente disciplina urbanistica), dall’altro lato, la sufficienza motivazionale dell’esigenza di ripristinare la legalità urbanistica violata dal titolo edilizio oggetto di autotutela, a prescindere da ogni valutazione dell’interesse del privato in comparazione con quello pubblico, trova fondamento nella consolidata giurisprudenza del giudice di appello, secondo cui (cfr., di recente, Sez. VI, n. 1915 del 14 aprile 2015) “l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia non necessita di espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, perché di interesse generale al rispetto della disciplina urbanistica”.

In ogni caso, deve ad abundantiam osservarsi che, nella fattispecie in esame, non è ravvisabile alcun consolidato affidamento della parte ricorrente alla conservazione del titolo edilizio conseguito in forma tacita, ove si consideri che, a prescindere dal fatto che essa non ha iniziato alcuna attività edilizia sulla scorta del titolo suindicato, proprio la mancanza di un provvedimento espresso di assenso non poteva non rendere precaria, quantomeno fino a quando non fosse decorso un significativo lasso temporale dalla data di formazione del titolo nella totale inerzia della P.A., la base del suo eventuale affidamento: ciò tanto più in quanto, oltre che con la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di cui alla nota prot. n. 26827 del 6.4.2012, con il provvedimento di diniego prot. n. 13/13 del 6.3.2013 e con la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento prot. n. 34434 del 16.5.2014, già nell’ambito del giudizio avente ad oggetto l’avvenuta formazione del silenzio-assenso l’amministrazione comunale, sebbene sul piano meramente difensivo, aveva contestato la conformità dell’intervento alla vigente disciplina urbanistica (sebbene in relazione a profili solo in parte coincidenti con quelli poi dedotti a fondamento dell’impugnato provvedimento di annullamento).

In ogni caso, deve rilevarsi che, come si evince dall’analisi delle ragioni del provvedimento impugnato, quali sono evincibili dal suo corredo motivazionale, esso non è esente da concreti riferimenti all’interesse pubblico perseguito, laddove, in particolare, viene evidenziato che l’eventuale edificazione dell’area, la cui superficie è di non trascurabile consistenza, “andrebbe ad incidere negativamente sul bilancio degli standards già previsti dal P.R.G.”.

Quanto poi alla censura intesa ad evidenziare i profili di asserito sviamento insiti nel fatto che l’amministrazione intimata, solo dopo la formazione del silenzio-assenso e la sua certificazione giurisdizionale, ha provveduto ad esercitare il potere originario di cui era titolare, sotto le spoglie del potere di autotutela, deve osservarsi che siffatto modus procedendi, piuttosto che tradire la violazione dei doveri di leale collaborazione cui deve informarsi l’azione della P.A., è coerente con il concreto svolgimento procedimentale e processuale nella specie realizzatosi, essendo evidente che solo dopo la formazione del silenzio-assenso, consacrata sul piano giurisdizionale, l’amministrazione, che in precedenza si era opposta (sul piano sostanziale e processuale) al suo riconoscimento, ha ritenuto di fare ricorso al solo strumento rimastole per ripristinare la legalità urbanistica, rappresentato appunto dall’esercizio del potere di annullamento.

Infondata deve altresì ritenersi la censura volta a lamentare la violazione del termine entro il quale, secondo le norme regolamentari comunali, avrebbe dovuto concludersi il procedimento di autotutela, dal momento che la natura acceleratoria dello stesso non consente di far discendere, dalla sua violazione, alcuna conseguenza invalidante, mentre, relativamente alla deduzione secondo cui il provvedimento impugnato sarebbe stato emanato dopo la scadenza del “termine ragionevole, comunque non superiore a 18 mesi” di cui al novellato art. 21 nonies l. n. 241/1990, deve osservarsi che la stessa non può avere ingresso nel presente giudizio, essendo stata formulata con la semplice memoria, non notificata, del 12.12.2015 (senza trascurare che la previsione è stata introdotta solo dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), l. 7 agosto 2015, n. 124, ed è quindi inapplicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto di giudizio, essendo il provvedimento impugnato intervenuto in data 13.3.2015).

Infondata è anche la censura intesa a lamentare il carattere generico, contraddittorio e perplesso della motivazione del provvedimento impugnato, laddove lamenterebbe la mancata “concertazione degli standards”, non rinvenendosi nel relativo apparato motivazionale alcun concreto riferimento ad essa.

L’esame delle ulteriori censure, intese a sostenere l’insussistenza dei profili di contrasto con la disciplina urbanistica ravvisati dall’Amministrazione intimata e posti a fondamento della affermata illegittimità del titolo edilizio formatosi per silentium, presuppone la loro seppur sintetica enucleazione, che può essere operata nei termini che seguono, quale si evincono dalla motivazione del provvedimento impugnato:

– l’intervento edilizio non è conforme alla disciplina urbanistica prevista per l’area di intervento dal vigente P.R.G., prevedendo quest’ultimo che l’area interessata ricada in parte in zona di uso pubblico, con previsioni di attrezzature religiose, in parte in strada ed in parte in parcheggi pubblici;

– il progetto contrasta con le disposizioni dell’art. 5 l. n. 106/2011, avendo come oggetto la realizzazione di un complesso residenziale su di un’area inedificata, priva di funzioni e tessuti edilizi preesistenti;

– l’eventuale edificazione dell’area, la cui superficie è di non trascurabile consistenza, andrebbe ad incidere negativamente sul bilancio degli standards già previsti dal P.R.G..

Può prescindersi, ad avviso del Tribunale, dal rilievo motivazionale incentrato sulla insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della misura premiante della volumetria aggiuntiva di cui all’art. 5, comma 9, d.l. n. 70/2011, conv. in l. n. 106/2011, assumendo la parte ricorrente che la volumetria prevista è inferiore a quella consentita dallo strumento urbanistico e non richiede quindi l’applicazione di alcun beneficio derogatorio (astenendosi coerentemente dal formulare censure avverso il suddetto passaggio motivazionale del provvedimento impugnato).

Assume invero la parte ricorrente che il lotto fondiario interessato dal progetto edilizio de quo, secondo la Tavola n. 9 del P.R.G., rientra nella zona B2, con la conseguente sua edificabilità secondo gli indici ed i parametri edilizi di zona, mentre la Tavola n. 6, alla quale l’amministrazione intimata ha riguardo nell’affermare la sua destinazione ai suindicati usi pubblici, avrebbe carattere di Piano particolareggiato, la cui efficacia, siccome ancorata ex lege ad un termine decennale, sarebbe ormai venuta meno, con la conseguente riespansione della potenzialità edificatoria dell’area secondo le previsioni generali concernenti la zona omogenea B2: la tesi viene argomentata anche sulla scorta di considerazioni di carattere generale concernenti l’impostazione del P.R.G. vigente nel Comune di Battipaglia, il quale si fonderebbe sulla prevalenza del rapporto matematico tra le quantità insediative e quelle dotazionali sulla individuazione di vincoli puntuali, il cui “disegno”, contenuto nella richiamata Tavola n. 6, avrebbe carattere non vincolante e dovrebbe comunque considerarsi superato dal concreto svolgimento del processo di trasformazione del territorio comunale, come dimostrato dal trattamento (opposto a quello che si è concretizzato nel provvedimento impugnato) riservato dall’amministrazione a casi analoghi a quello oggetto di controversia e dal fatto che le attrezzature religiose, alle quali sarebbe destinata parte dell’area de qua, sono state realizzate su area limitrofa, così soddisfacendo il relativo bisogno dotazionale, erroneamente addotto dall’amministrazione a giustificazione dell’impugnato provvedimento di annullamento.

La prospettazione attorea, sebbene interessante e pur riconoscendo l’intrinseca problematicità della fattispecie, non può essere condivisa.

In primo luogo, la tesi secondo cui la Tavola n.6 non avrebbe carattere vincolante, ma meramente indicativo, in quanto rispondente ad una finalità (di “disegno urbanistico”) non coerente con l’impostazione generale del P.R.G., è dissonante rispetto all’esigenza interpretativa di attribuire al P.R.G., in ogni sua componente (anche di tipo grafico), efficacia prescrittiva, in vista dell’ottimale perseguimento delle finalità perseguite con lo strumento urbanistico.

Quanto poi alla deduzione attorea, secondo cui il carattere non vincolante della Tavola n. 6, e comunque l’insussistenza del pericolo di stravolgimento dell’equilibrio tra insediamenti residenziali ed aree a standards paventato dall’amministrazione comunale, si desumerebbero dal fatto che le dotazioni da essa previste, con particolare riguardo alle attrezzature religiose (Chiesa), sarebbero state assicurate in concreto nell’ambito di limitrofo contesto territoriale, deve osservarsi che siffatta circostanza è inidonea a dimostrare il dedotto “svuotamento funzionale” della previsione vincolistica del P.R.G., ove si consideri che la Chiesa indicata dalla parte ricorrente afferisce ad un diverso comparto, ricadente in zona C1, sì che essa non può essere utilizzata per dimostrare l’avvenuto soddisfacimento delle dotazioni specificamente previste dal P.R.G. relativamente alla zona B2, in cui ricade il progettato intervento edilizio.

Nemmeno può essere condivisa la tesi secondo la quale le previsioni grafiche della Tavola n. 6, per la loro valenza di zonizzazione di dettaglio, dovrebbero essere sottoposte al trattamento, anche in termini di durata della relativa efficacia, proprio dei Piani particolareggiati: ciò a prescindere dalla correttezza di un’operazione qualificatoria dello strumento urbanistico incentrata sulla prevalenza della “sostanza” (in ipotesi, di Piano particolareggiato) sulla “forma” (di P.R.G.).

Come evidenziato dal redattore della verificazione espletata nell’ambito del giudizio introdotto con il ricorso n. 2364/2013, invero, fa difetto, nelle previsioni del P.R.G. concernenti la zona B2, il tratto distintivo, da un punto di vista contenutistico, per il riconoscimento di un Piano particolareggiato, ovvero l’indicazione delle “reti stradali” e dei “principali dati altimetrici di ciascuna zona” così come delle “suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili”, ai sensi dell’art. 13 l. n. 1150/1942: circostanza quest’ultima che, come sottolineato dal verificatore, non consente di estendere alla zona B2 le osservazioni svolte dai consulenti tecnici nominati nell’ambito del giudizio penale conclusosi con la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1126/2001 (richiamata dalla parte ricorrente a sostegno delle sue allegazioni ed acquisita da questo Tribunale), siccome pertinenti alle diverse (per grado di dettaglio delle corrispondenti previsioni del P.R.G.) zone C di espansione urbana.

Per contro, deve osservarsi che la Tavola n. 6 del P.R.G. di Battipaglia reca indicazioni del tutto coerenti con la veste formale (e la conseguente disciplina) del medesimo strumento urbanistico, ove si consideri che è propria dello stesso, ai sensi dell’art. 7 l. n. 1150/1942, l’individuazione delle “aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale” (quali, nella specie, non possono non essere considerate le “attrezzature zonali con previsione di Chiese – Templi” previste dalla Tavola n. 6 del P.R.G. per una parte dell’area di proprietà della società ricorrente).

Deve quindi ritenersi che anche la Tavola n. 6 concorra alla realizzazione dei fini propri dello strumento urbanistico, mediante l’individuazione anche di tipo spaziale delle dotazioni zonali, atta a conferire concretezza ubicativa ai rapporti meramente quantitativi fissati per ciascuna zona dalle tabelle di “riepilogo delle caratteristiche progettuali” allegata al medesimo P.R.G..

Consegue dai rilievi svolti che la indicazione delle aree destinate ad attrezzature di uso pubblico, contenuta nella Tavola n. 6 del P.R.G., non integra un elemento “spurio” rispetto alla generale disciplina di zona (B2) concernente la proprietà della ricorrente, quanto piuttosto l’individuazione di una specifica zona F (che, ai sensi dell’art. 2 l. n. 1150/1942, individua appunto “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”) sottratta, in quanto tale, alle previsioni edificatorie della zona B2 e concorrente ad assicurare la dotazione minima di aree destinate ad uso pubblico richiesta ai fini del bilancio complessivo tra pesi insediativi e standards urbanistici.

Né, alla luce dei rilievi svolti, sussistono i presupposti per invocare un preteso principio di interpretazione favorevole al privato, non essendo ravvisabile alcun contrasto tra disposizioni urbanistiche configgenti, ma ponendosi piuttosto le due Tavole (n. 6 e n. 9) del P.R.G. in rapporto di perfetta armonia e reciproca integrazione.

Ugualmente non decisivo, ai fini dell’accoglimento delle deduzioni attoree, è il verbale della riunione intersettoriale prot. n. 7042 del 10.1.2009, prodotta dalla parte ricorrente in data 13.9.2016, non contemplando le determinazioni con esso assunte la specifica situazione delle aree, come quella di pertinenza della società ricorrente, alle quali il P.R.G. abbia impresso una univoca destinazione ad uso pubblico.

Escluso, quindi, che sia predicabile, quale conseguenza della decadenza delle previsioni della Tavola n. 6 (per effetto del predicato decorso del termine decennale di efficacia proprio dei Piani Particolareggiati), la “riespansione” delle previsioni di edificabilità proprie della zona B2, e dei relativi indici edificatori, non resta che individuare la disciplina urbanistica applicabile alle aree de quibus.

Iniziando dall’area interessata dalla previsione di “attrezzature zonali con previsione di Chiese – Templi”, la stessa, per il suo carattere puntuale e per il sostanziale svuotamento contenutistico che produce a carico del diritto di proprietà, non può che riveste carattere espropriativo: la giurisprudenza ha infatti ritenuto configurabile “un vincolo preordinato all’espropriazione tutte le volte in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica” (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, n. 3034 del 20 novembre 2014).

La sopravvenuta decadenza del suddetto vincolo, per effetto del pacifico decorso dalla sua introduzione del termine quinquennale di cui all’art. 38, comma 1, l.r. n. 16/2006, non può che comportare quindi l’applicazione, ai sensi del successivo comma 3, dei limiti di edificabilità previsti dalla legge regionale 20 marzo 1982, n. 17, piuttosto che, come sostenuto in ricorso, la riespansione delle facoltà edificatorie delineate dagli indici di edificabilità previsti per la zona B2: da questo punto di vista, non possono che condividersi i rilievi comunali, trasfusi nella succitata relazione del Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia, volti a delineare la disciplina urbanistica dell’area, relativamente alla parte destinata ad attrezzature religiose, una volta decaduto (per effetto del decorso del relativo termine quinquennale) il relativo vincolo espropriativo, come “zona bianca”, con i connessi limiti di trasformazione di cui al richiamato art. 38, comma 3, l.r. n. 16/2004.

A consimili conclusioni deve poi pervenirsi in ordine alle aree sulle quali la Tavola n. 6 del P.RG. prevede la realizzazione di “strada di progetto e parcheggi pubblici”, dovendo in proposito rinviarsi al recente pronunciamento del giudice di appello (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3805 del 5 settembre 2016), secondo cui “nel caso di specie si è, per la gran parte, in presenza di standard urbanistici e di vincoli conformativi, attesa la destinazione impressa al suolo dei ricorrenti (Cons. Stato, sez. IV, 1 ottobre 2007 n. 5059, secondo la quale “le destinazioni a parco urbano, a parcheggio e a viabilità non comportano automaticamente l’ablazione dei suoli”, e dunque non costituiscono vincoli espropriativi o a contenuto espropriativo); per altro verso, in ogni caso, la decadenza dei vincoli espropriativi non comporta ex se la “riespansione” di precedenti destinazioni di zona, potendo l’amministrazione procedere, a determinate condizioni, a reiterazione del vincolo (Corte Cost., 20 maggio 1999 n. 179 e 18 dicembre 2001 n. 411), e comunque sussistendo solo l’obbligo a suo carico di reintegrare la disciplina urbanistica, dopo la decadenza del vincolo (Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 2011 n. 4304; 13 ottobre 2010 n. 7493; 14 febbraio 2005 n. 432)”.

Peraltro, il citato orientamento è stato ancor più recentemente ribadito dal giudice di appello (sentenza Sez. IV, n. 4758 del 17.11.2016), relativamente ad un intervento ricadente in zona destinata dal P.R.G. del Comune di Battipaglia a parcheggio e strada ed in minima parte in zona D3, essendosi evidenziato che “in sostanza gran parte dell’opera ricade in una zona che a causa della sopravvenuta decadenza dei citati vincoli espropriativi è divenuta “bianca”. In tale situazione, come rilevato dal TAR, vale la disciplina più restrittiva prevista dall’art. 9 del DPR n. 380/2001 che determina quel sovradimensionamento dell’opera rilevato dal Comune”, senza che possa “essere condivisa l’interpretazione dell’appellante sul generale contenuto di dettaglio del P.R.G. di Battipaglia al fine di superare l’obbligo di un’ulteriore regolamentazione dell’area. La sovrapposizione della tavola 6 del Piano, in cui sono previste le strade e parcheggi, alla particella interessata dall’intervento edilizio richiesto (n. 102), dimostra comunque l’ampia ricomprensione di quest’ultima nella zona soggetta al vincolo di esproprio poi decaduto. Non può dunque ritenersi applicabile la disciplina urbanistica della contigua zona D3 stante la natura prescrittiva della tavola 6 del PRG. Tale natura determina, infatti, la conseguenza che al venir meno delle prescrizioni della stessa tavola, non si possa semplicemente ritenere applicabile alla zona bianca la regolamentazione urbanistica della contigua zona omogenea la quale comunque è stata disciplinata tenendo conto anche di quelle prescrizioni. L’Amministrazione, in sostanza, deve adottare una regolamentazione sostitutiva della precedente che tenga conto dell’equilibrio complessivo della pianificazione alla luce della decadenza dei vincoli”.

Alla luce delle considerazioni svolte, è infine insuscettibile di incidere in senso invalidante sul provvedimento impugnato il richiamo attoreo ad altre vicende procedimentali, che denoterebbero la costante adesione dell’amministrazione all’indirizzo interpretativo posto a fondamento delle censure formulate in ricorso: basti evidenziare al riguardo che gli eventuali precedenti amministrativi, ove difformi da un corretto e legittimo modus operandi, così come in precedenza delineato, non sono idonei a vincolare l’amministrazione né a concretizzare alcun vizio di disparità di trattamento a carico del provvedimento impugnato.

In conclusione, quindi, il ricorso deve essere complessivamente respinto.

La peculiarità e la complessità dell’oggetto della controversia giustificano nondimeno la compensazione delle spese di giudizio sostenute dalle parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1080/2015:

– dichiara l’inammissibilità dell’atto di intervento ad opponendum del Circolo denominato “Vento in Faccia”;

– respinge il ricorso;

– compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Sabbato, Presidente FF

Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore

Paolo Severini, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ezio Fedullo Giovanni Sabbato

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