GLI ASINI, IL GRANO ANTICO E LA TERRA: Intervista a Ivan Di Palma, un filosofo agricoltore

Ivan Di Palma ha una compagna, due bimbi, una mucca, un cavallo, quattro cani, quindici asini e un numero imprecisato di gatti. Ha pure una laurea in filosofia, conseguita a Firenze, con una tesi su Max Scheler e Helmuth Plessner che riflettono e si confrontano per assegnare all’uomo la giusta posizione nell’ordine del cosmo. La sua posizione, quella giusta, Ivan l’ha trovata a Tempa degli Arnici, una contrada di Atena Lucana sospesa sul confine tra Campania e Basilicata.

Qui ci sono i suoi terreni, i suoi campi di grano antico, il suo forno, i suoi frutteti, le sue stalle, i suoi asini: questo è il regno di Ivan, un piccolo impero fondato sulla fatica e alimentato dalla gioia di veder coincidere la propria passione con il proprio lavoro. Un lavoro a dir poco sfiancante, certo. E, per di più, nemmeno tanto redditizio. Insomma, chiunque altro, dotato di un minimo di buon senso, al suo posto avrebbe già mollato tutto. Chiunque altro, sì, ma non il nostro Ivan che ormai, impastando entusiasmo e sudore, è diventato a tutti gli effetti l’emblema di un fenomeno in forte crescita, quale quello del… No! Fermi tutti.

«Potremmo evitare il solito cliché del giovane del sud che ritorna alla terra?»

«Per quale motivo?»
«È una cosa che non sopporto più. Se fossi tornato a fare l’idraulico, saresti venuto fin qui a intervistarmi?»

«Credo di no, sarebbe stato più difficile considerarti un modello.»
«Ma io non voglio essere un modello, non mi interessa. Ho altro a cui pensare. Adesso, ad esempio, ho finito il fieno e sono preoccupatissimo. Non so come andrà avanti questo strano inverno, se dovesse piovere per un mese di fila cosa darò da mangiare ai miei animali?»

«Non chiederlo a me, non ne so granché di queste cose.»
«Io ero come te, se qualcuno mi avesse chiesto il nome di una pianta, non avrei saputo rispondere.»

«Come mai, allora, ti ritrovi a fare questo lavoro?»
«Per una serie di circostanze. Non avevo certo progettato di tornare ad Atena per mettermi a lavorare la terra e allevare gli animali.»

«Qual è stato il punto di partenza di questa avventura?»
«Il latte d’asina. Per un po’ di tempo mi sono dedicato a questa produzione, ma è un mercato troppo altalenante per un piccolo allevatore. C’erano periodi in cui avevo tantissimo latte e nessuna richiesta e periodi in cui non riuscivo a soddisfare le tante richieste perché ero a corto di latte. Prima ancora di questo, però, ho smesso per una questione di carattere etico: se togli il latte materno a un puledro, c’è poco da fare, crescerà per forza di cose rachitico. E che te ne fai di un asino rachitico? Puoi solo portarlo al macello.»

«E così hai abbandonato la produzione ma hai tenuto con te gli asini.»
«Gli asini sono al centro del progetto di onoterapia che stiamo portando avanti. Anche se, a dirla tutta, il termine terapia non mi convince. Preferisco parlare di attività di mediazione.»

«Che tipo di mediazione?»
«C’è un asino che ti aiuta a recuperare la tua corporeità. E questo facilita le tue relazioni e ti fa diventare una persona migliore.»

«In che modo?»
«Hai mai avuto un animale? Un cane? Un gatto? Sei mai riuscito a instaurare un rapporto con loro? L’onoterapia si basa proprio su questo, cioè sulla costruzione di una relazione emotiva e corporea con l’asino. È una cosa che richiede tempo e pazienza, è ovvio. Bisogna avere fiducia per arrivare a capire, pian piano, che l’animale può dare benessere e, di conseguenza, migliorare le qualità nostre e della nostra vita.»

«E funziona?»
«Quando cammino con gli asini provo una sensazione di benessere corporeo. Materialmente, camminare a fianco a un asino, condividere con lui un tratto di strada, imparare a rispettare le sue esigenze mentre lui asseconda le tue, significa stabilire un rapporto con un altro essere vivente, una connessione che mette in moto altre connessioni. È come una luce che illumina all’improvviso i fili di una ragnatela nascosta, c’è un concatenarsi di legami e relazioni che si rendono man mano più evidenti, fino a farti sentire parte di un tutto. E questo ti fa stare bene. D’altro canto, cos’è il benessere se non la consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande di noi stessi?»

«Al di là della mia passione per Giordano Bruno, ti confesso che non avevo mai associato il concetto di benessere all’asino.»
«È un animale che riesce facilmente a imporsi nel tuo immaginario. L’asino cerca il contatto fisico e questo ti spinge a metterti in gioco, tramite il corpo, con tutto te stesso. I malati di Alzheimer che seguivano l’onoterapia non ricordavano il proprio nome ma ricordavano perfettamente tutti gli esercizi che avevano svolto con l’asino.»

«Altro che latte d’asina, insomma.»
«Un’azienda agricola piccola come la mia ti dà da vivere solo se ti inventi e costruisci altre cose intorno. Per come vanno attualmente le cose, funziona solo chi può contare sui grandi numeri, puoi farcela solo se possiedi grandi appezzamenti di terreno e almeno un’ottantina di capi di bestiame. Un tempo non era così. Negli anni settanta, un contadino con cinque mucche era una persona ricca che poteva mandare i figli all’università. Oggi, se hai solo cinque mucche, sei praticamente un morto di fame.»

«C’è da essere nostalgici?»
«Se le aziende agricole vogliono avere un futuro devono per forza di cose concepirsi e organizzarsi come microimprese familiari che producono di tutto e collaborano sinergicamente tra loro. Come accadeva in passato, quando ogni contadino produceva, consumava e vendeva latte, caciocavallo, pecorino, pane, legumi, ortaggi, orzo, grano e altri cereali

«Che è esattamente ciò che stai facendo tu.»
 «Ci sto provando, ma non è per niente facile. Anche perché qui coltiviamo tutto in modo rigorosamente naturale. E puntiamo sulla biodiversità, cioè sul recupero di grani antichi come il Senatore Cappelli, la Carosella Lucana e la Iurmana. Con i grani antichi, però, è tutto molto più complesso, le rese sono molto più basse. Trattandosi di piante alte, poi, c’è sempre il rischio che le piogge primaverili le abbattano e facciano marcire tutto. I campi che vedi sono belli, ma quanto grano farò?»

«Gli asini, l’onoterapia, la terra, il grano antico, la biodiversità. Mi spieghi per quale motivo vuoi sottrarti al tuo ruolo di messaggero di un nuovo tentativo di aprire un cammino verso la salvezza?»
«In linea generale, non posso certo negare di far parte di un fenomeno che è quello del ritorno alla terra. Ma, allo stesso tempo, la storia di questa terra, di questa fetta di Meridione, mi respinge. Per i contadini e i pastori che vivono qui io sono un corpo estraneo, anche se sostanzialmente non faccio niente di diverso da quel che fanno loro.»

«A me hai ispirato fiducia fin da subito. Perché mai loro dovrebbero diffidare di te?»
«È nella natura di chi vive in montagna essere sospettoso e scostante. Il nostro Appennino è popolato da un’umanità elementare che apparentemente non ha niente di bello, fatta di persone semplici, ruvide, ignoranti. Forse questo ha tenuto al riparo questa terra da tutta una serie di vizi e malanni contratti con la modernità. È un limite. Ma anche il nostro più grande punto di forza.»


«Limite e punto di forza: come fanno a conciliarsi questi due opposti?»
«
È proprio questa stessa gente cruda e poco delicata a manifestare, all’improvviso, in un gesto, in un discorso o magari anche in un’imprecazione, la delicatezza d’animo tipica dei poeti. Ecco, io in quest’articolarsi del brutto e del bello ho trovato le radici del mio legame con queste montagne e con la gente che vi abita. È questo elemento di essenzialità che riscontro in questa gente completamente priva di sovrastrutture che mi ha fatto capire che questa è la mia terra.»

A cura di: Angelo Cariello

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Foto: Valentina Gaudiosi

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