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La Gabbianella e il Gatto vent’anni dopo, conversazione con i doppiatori

“Disgraziatamente gli umani sono imprevedibili. Spesso con le migliori intenzioni causano i danni peggiori”. È solo una delle molteplici frasi (anche se sarebbe più letterariamente corretto chiamarli aforismi) contenute nel romanzo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”.

Lo scrittore cileno Luis Sepulveda diede alle stampe il suo  “Historia de una gaviota e del gato que le enseno a volar” nel 1996 ed ancora oggi, nonostante l’autore sia uno degli intellettuali viventi più prolifici, la vicenda della metamorfosi della spaurita gabbianella che conquista un suo posto nel cielo grazie al vincolo di complicità dei Gatti del porto di Amburgo è considerata come il suo capolavoro.

Senza dubbio, ad accrescere la fama del romanzo contribuì la realizzazione, due anni dopo, del film d’animazione diretto dal regista Enzo D’Alò dal titolo, più semplice, “La Gabbianella e il Gatto”. Il regista Enzo D’Alò, nell’anno di uscita del romanzo della Gabbianella, esordiva nel genere del film di animazione con un’altra trasposizione cinematografica stavolta tutta italiana: la freccia azzurra, tratto dall’omonimo racconto di Gianni Rodari pubblicato nel 1964.

Due anni dopo, al posto dei giocattoli di Orbetello, la vicenda della Gabbianella vede protagonisti cinque gatti del porto che si vedono rompere la loro quotidianità da una solenne promessa del loro amico Zorba ad una gabbiana moribonda: essa, travolta all’improvvisa da un’onda nera di petrolio fuoriuscita da un incidente di una petroliera da una barca apparentemente senza timone, riesce appena a spiccare un ultimo volo e a depositarsi proprio tra le braccia del gatto nero del porto strappandogli, in punto di morte, tre solenni promesse.

Zorba non avrebbe dovuto mangiare l’uovo, si sarebbe dovuto prendere cura del pulcino che sarebbe nato e per ultimo, gli avrebbe dovuto garantire che gli avrebbe insegnato a volare.

Il protagonista, dapprima turbato dall’impossibilità quanto dall’anomalia delle richieste, è disorientato, ma egli non è solo; può contare sui suoi amici che la sapienza del regista ha saputo delineare nelle loro personali peculiarità: Colonnello, autoritario leader non troppo preparato ed anche un po’ sbruffone ma elegante e raffinato, Segretario, colto e sfortunato felino che paga sempre le sue correzioni a Colonnello che quest’ultimo gli affida proponendogli le motivazioni più varie, l’enciclopedico Diderot, l’indipendente Rosa dei venti, autentica gatta del porto.

Fanno da cornice al racconto un poeta narratore che in un sapiente schema letterario (a prestare la voce al poeta che vive e fa vivere la vicenda attraverso i disegni con sua figlia Nina è proprio l’autore del racconto Luis Sepulveda) assume il significato di una poesia narratrice della sua stessa vicenda ed un folto esercito di topi di fogna capitanati dal “Grande Topo” che assurge alla conquista del mondo esterno contro gli odiati gatti.

La piccola Gabbianella, dopo una forte crisi esistenziale dovuta alla scoperta terribile di non essere un gatto come gli avevano fatto credere ma un altro tipo di animale non meglio identificato e dopo aver anche subito un tentativo di assassinio da parte dei Topi sventato dai suoi amici gatti entrati nel loro habitat nascosti in un’enorme crosta di formaggio (stratagemma ideato dopo aver consultato l’Enciclopedia di Diderot sulla vicenda del “Cavallo di Troia”, viene portata di fronte al suo destino e, dal punto più alto del campanile, con la complicità del suo amico-madre Zorba e della piccola Nina, spicca il volo ed abbandona per sempre la sua vera, unica famiglia per ricongiungersi a quella dei gabbiani realizzando il suo sogno e quello di sua madre.

 

La Gabbianella, come una sorellina minore che irrompe prepotentemente nella vita di una famiglia allargata come quella dei Gatti del porto, non è molto ben vista dal gatto più piccolo della combriccola; il vispo Pallino, sentendosi trascurato, non ci pensa due volte a mostrare il suo animo di imprudente felino che ama mettersi in situazioni più grandi di lui a dire le più atroci bestialità alla povera Fortunata (nome datole dai gatti per la sua situazione) tanto da farla ricredere sulle autentiche intenzioni dei suoi amici.

Il rapporto Fortunata-Pallino matura e muta nel corso della vicenda giungendo e sarà proprio Pallino a tentare, coraggiosamente, di salvarla dai topi e a salutarla, alla fine, per sempre con un commovente “Ciao sorellina”.

 

Il film di Enzo D’Alò, ancora oggi detentore del record del film di animazione di maggior successo di sempre e quello di maggior successo di pubblico (oltre dodici miliardi di lire di incassi), oltre alla narrazione ed alla fedeltà con l’opera sepulvediana (eccetto qualche personaggio eliminato come il goffo scimpanzè Mattia, “cassiere” del bazar di Diderot”), si avvalse di un cast brillante di attori,  doppiatori, illustratori e musicisti a Carlo Verdone ed Antonio Albanese furono affidati rispettivamente i personaggi di Zorba e del Grande Topo, a firmare la colonna sonora fu David Rhodes e Gaetano Curreri; a produrre il tutto fu la Cecchi Gori.

A caratterizzare i personaggi della Gabbianella adolescente (la Gabbianella neonata e bambina furono le voci di Sofia Baratta e Veronica Puccio)  e del suo “fratellino” Pallino furono scelti Domitilla D’Amico e Gabriele Patriarca, entrambi molto giovani ed agli inizi delle loro carriere. Domitilla D’Amico, oggi voce ufficiale di attrici del calibro di Emma Stone, Scarlett Johannson, Emily Blunt, Eva Green, vanta un debutto autoriale: esordì nel mondo del doppiaggio nel 1993, a soli otto anni, scelta da Carlo Beccarini per prestare la voce a due personaggi de “La voce della Luna” di Federico Fellini. Gabriele Patriarca, oggi trentenne, vinse lo Zecchino D’Oro nel 1993 a dotto anni interpretando la celeberrima canzone “Il Coccodrillo come fa”.

Oggi, Patriarca ha all’attivo numerosi ed importanti doppiaggi di attori come Matthew Lewis, Josh Ryan Evans, Edward Furlong oltre alla partecipazione a numerose fiction televisive.

Entrambi sono di nuovo al cimema con i loro ultimi lavori dietro al leggio: Domitilla D’Amico ha prestato la voce alla celeberrima maga tata inglese nell’adattamento cinematografico diretto da Rob Marchall “Il ritorno di Mary Poppins” (dal classico “Mary Poppins” diretto da Robert Stevenson, mentre Gabriele Patriarca è la voce di Newt nel film “Maze Runner-la rivelazione”  con protagonista Dylan O’Brien e la regia di Wes Ball.

-Voi, Domitilla D’Amico e Gabriele Patriarca, eravate entrambi molto giovani quando foste scelti da Enzo D’Alò per caratterizzare i personaggi de La Gabbianella e del gatto Pallino. Con che spirito ci si prepara ad affrontare, seppur in giovane età, un lavoro così importante ed impegnativo?

D’Amico: “La parola è una sola. Semplicità. La semplicità della Gabbianella. La società di doppiaggio, la Packager mi chiamò a doppiare il personaggio di Fortunata. Ricordo con grande ammirazione il Direttore del doppiaggio, Renzo Stacchi.Ho avvertito la purezza di perdermi in quel mondo, in quel mare, in quel cielo attraversato prima da sua madre Kengah e poi da Fortunata.

Patriarca: “Mi ricordo di aver affrontato con grande entusiasmo questa lavorazione. Entusiasmo che mi era stato trasmesso da Enzo D’alò e il suo staff e anche dal direttore di doppiaggio Renzo Stacchi, a cui devo molto, che ha reso il lavoro leggero, cercando di raggiungere ciò che voleva senza mettermi alcuna pressione.

-Che personaggio era Pallino? Subisce una mutazione nell’economia del racconto? In lui prevale l’indipendenza, l’irruenza o, in fondo, la nobiltà d’animo?

Patriarca: “Ogni essere vivente, fin da piccolo, cerca di imporre il proprio carattere, anche con irruenza a volte, ma fa parte semplicemente della sua natura; Pallino voleva dimostrare ai gatti più adulti di essere in grado di stare al passo con loro e vedeva la Gabbianella come un ostacolo. Però, di base, non è cattivo, anzi. E nella parte finale lo dimostra.

Che personaggio era, invece,la Gabbianella?

D’Amico: “La Gabbianella è un personaggio molto semplice ma allo stesso tempo complesso. Essendo stata cresciuta da Zorba, anche se è un altro animale, non può che avere gli stessi sentimenti che Zorba stesso le ha inculcato. Una delle sue frasi più emblematiche è “Io non voglio essere un gabbiano; voglio essere un gatto”. Fortunata si sente parte di un mondo che non è il suo. Le si apre un mondo quando è capace di guardare il mondo con occhi diversi. Un valore ed una capacità fondamentali in qualsiasi individuo, senza alcuna dietrologia.

 

-Vi è qualche aneddoto interessante avvenuto in sala doppiaggio durante la lavorazione del film che ritenete sia interessante ricordare?

D’Amico: “Non ricordo un aneddoto particolare, poi ero piccola. Ricordo un’atmosfera molto serena che derivava dal fatto che stavamo lavorando ad un film di Enzo D’Alò, una persona davvero amabile. Se dovessi esprimere una mia sensazione emotiva ricordo davvero che si avvertiva, dall’impegno e dall’atmosfera che stavamo lavorando a qualcosa di veramente impegnativo. L’impegno che ci veniva richiesto e la sceneggiatura stessa del film erano quelli di un’opera importante. Ricordo i tempi molto lunghi. Per doppiare Fortunata, un personaggio che parla poco, ma le sue poche frasi sono significative, fu sufficiente un turno. Ma un turno che richiese molta concentrazione.

Patriarca: “ Come ho avuto modo di dire precedentemente, Renzo Stacchi mi ha insegnato tanto durante quella lavorazione:  tanti piccoli trucchetti per affrontare bene il mestiere del doppiatore che mi sono serviti e che mi servono ancora! Di sicuro una cosa che non mi è mai più capitata è stata di recitare a testa in giù! Durante una scena, Renzo entra in sala, mi prende in braccio, poi per i piedi e mi dice: “Dilla così che viè più naturale..”Purtroppo, durante quella lavorazione, non ho avuto modo di interagire con gli attori perché ero sempre in colonna separata.

-Una scena che Le è rimasta più impressa, che le ha trasmesso maggiori sensazioni?

Patriarca: “Non ricordo particolari sensazioni, ma posso dire con certezza che la scena in cui i topi rincorrono i protagonisti all’epoca, mi mise un po’ di timore.

-Amicizia, intraprendenza, integrazione. Sono alcuni dei valori che sia il libro di Sepulveda che il film di  D’Alò tramettono. Ventidue e vent’anni dopo l’uscita, nell’attuale contesto politico e storico, in cui si rifiuta e si lascia al proprio destino il diverso ed il debole, quanto è importante ristudiare la storia della Gabbianella e del Gatto?

Patriarca: “Secondo me, in questo periodo storico, si dovrebbe inserire una storia come quella di Sepulveda nei programmi scolastici: insegnare che la diversità non deve spaventare ma essere continuo spunto per un confronto e per migliorare. Il rapporto tra Gatto e Gabbianella, seppur sia frutto dell’immaginazione, deve fare riflettere grandi e piccini su questo.

D’Amico: “Questo film andrebbe fatto vedere e rivedere soprattutto ai più piccoli. Ed alle loro famiglie. Viviamo un tempo in cui molte famiglie hanno paura di rendere partecipi i loro figli delle stesse emozioni che potrebbero provare. Soprattutto non hanno il coraggio di farli volare, di provare a farli volare e di far usare loro la giusta dose di immaginazione che serve a sviluppare in loro le loro speranze ed i loro sogni.

 

Si ringrazia Nunziante Valoroso per la preziosa collaborazione

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