L'Occhio di Salerno incontra Franco Ortolani – L'intervista di Angelo Cariello

Delle due, l’una: o un popolo è libero, o è schiavo. Cos’è a determinarlo? L’esercitare o meno, attraverso l’espressione della volontà generale, la propria sovranità. È al popolo – solo e soltanto a esso – che spetta il compito di decidere; è ai cittadini – e non ai delegati, ai rappresentanti, ai deputati – che è dato il potere esclusivo di formulare e ratificare le leggi dello stato.

Così scriveva nel 1762 il filosofo Jean Jacques Rousseau, fervente sostenitore della democrazia diretta come forma suprema di governo. Un tipo di democrazia, quella diretta, che poco o niente ha da spartire con la “nostra” democrazia rappresentativa, sempre che possa definirsi rappresentativo un sistema politico che negli ultimi anni, rinnegando l’istituto stesso su cui esso giuridicamente si fonda, è arrivato a sottrarre ai cittadini finanche il diritto di eleggere i propri governanti.

Ora, la clamorosa erosione della nostra sfera di azione – e sovranità – politica che ci sta trasformando ineluttabilmente da cittadini a sudditi – se non schiavi – dello stato avrebbe dovuto caricare di grandi aspettative l’appuntamento con le urne del prossimo 17 aprile: quale migliore occasione del referendum per rinsaldare i gangli del nostro sistema democratico? E invece il rischio che la consultazione sulle trivellazioni in mare – strumentalmente ignorata dai media generalisti – passi alla storia come un enorme buco nell’acqua è più che concreto. Pochi sono i cittadini a conoscenza dell’ormai prossimo referendum, ancor meno coloro che hanno afferrato a pieno il nocciolo della questione su cui bisogna esprimersi.

Promossa dalle regioni (è la prima volta che accade nella storia della nostra repubblica), la consultazione referendaria riguarda le piattaforme già esistenti per l’estrazione di gas e petrolio che si trovano entro le dodici miglia dalla costa italiana. Con la Legge di stabilità 2016, il governo Renzi ha deciso di regalare la vita eterna a queste piattaforme: da allora le compagnie petrolifere che le gestiscono possono continuare a estrarre petrolio e gas senza più doversi preoccupare delle scadenze temporali delle concessioni ottenute, tanto meno delle procedure per l’eventuale rinnovo delle stesse. Insomma, per come stanno oggi le cose, le compagnie petrolifere hanno il diritto di lasciare le proprie piattaforme in mare finché ritengono ci sia qualcosa da estrarre. O comunque – sostengono i “maligni” – fino a quando restare in mare a far finta di estrarre petrolio risulterà per le tasche di un petroliere più conveniente dell’accollarsi le spese per lo smantellamento dei pozzi e il ripristino dei luoghi.

Per provare a far chiarezza sulla controversa questione, ho incontrato un grande luminare della scienza della Terra, il geologo Franco Ortolani, noto professore della Federico II di Napoli, da sempre in primissima linea nelle battaglie contro i danni all’ambiente e alla salute causati dalla scelleratezza delle decisioni dei potenti.

«Professore, ci spiega questo referendum cosa chiede a noi cittadini?»

«Vuole sapere se vogliamo che le concessioni per l’estrazione di petrolio e gas si rinnovino automaticamente fino all’esaurimento del giacimento o se invece preferiamo che, una volta scaduta la concessione, la piattaforma debba fermarsi per valutare quello che è stato il suo impatto sull’ambiente. Insomma, ci chiede se siamo disposti a lasciare il futuro dei nostri mari nelle mani dei petrolieri o se invece preferiamo riappropriarci dei nostri territori.»

«È una decisione importante?»

«A dire il vero, l’argomento su cui siamo chiamati a votare è veramente di poco conto. Tuttavia, questo referendum mette in discussione in maniera esplicita la linea d’azione del governo, una linea che dovrebbe tutelare l’ambiente e valorizzare le risorse autoctone e che invece è completamente appiattita sulle posizioni delle compagnie petrolifere. Non è un mistero che la data del 17 aprile sia stata imposta proprio dai petrolieri per fare in modo che il referendum fallisca. Così come non è un segreto che il nostro Presidente del consiglio, suggerendo ai cittadini di non andare a votare, non ha fatto altro che confermare di essere un rappresentante dei petrolieri e non dei cittadini.»

«Con un governo così asservito agli interessi delle compagnie petrolifere, non c’è il rischio che l’appuntamento del 17 aprile abbia un valore esclusivamente simbolico?»

«È una cosa più che probabile. Anche perché il governo, dopo il voto, ha a disposizione mille scappatoie per fare in sostanza tutto ciò che vuole, come è già successo, purtroppo, con gli altri referendum. È una prova di voto, mettiamola così.»


«E, in questa cosiddetta prova, cosa deve votare chi ha a cuore le sorti dell’ambiente?»

«Con questo referendum i cittadini hanno l’occasione di chiedere una maggiore considerazione nelle questioni che riguardano la tutela dell’ambiente e la difesa delle risorse autoctone, come ad esempio l’acqua. Per questo chi tiene all’ambiente deve esprimersi a favore dell’abrogazione del comma in questione introdotto dall’ultima Legge di stabilità, votando sì.»

 

«Eppure ho avuto modo di costatare che anche il fronte opposto annovera tra le ragioni del no argomenti a favore della salvaguardia dell’ambiente.»

«I soldi fanno comodo a tutti.»

 

«Al netto della dialettica del gioco delle parti, quanto sono dannose le trivellazioni dal punto di vista scientifico?»

«Le trivellazioni in sé non sono dannose, trivellare non significa nient’altro che fare un buco nel terreno. Il carico impattante sul territorio risiede invece in tutto ciò che segue le trivellazioni. Se una trivellazione va a buon fine, e cioè capta un giacimento, inevitabilmente ne seguiranno altre dieci, venti, trenta, cinquanta, che è esattamente ciò che sta accadendo in Basilicata. Ogni perforazione, poi, deve essere collegata a un oleodotto o un gasdotto: ecco che pian piano si sviluppa una ragnatela che occupa interamente la superficie del suolo. A questo punto, quindi, è necessario realizzare un centro di lavorazione del petrolio. A conti fatti, si realizza in questo modo un’occupazione manu militari dell’intero territorio.»

«Non è a caso è stato rispolverato il concetto di colonialismo per descrivere, ad esempio, la situazione in Val d’Agri.»

«Nel novanta per cento dei casi le estrazioni petrolifere avvengono in zone desertiche o semidesertiche. In Italia invece le compagnie petrolifere occupano militarmente territori che hanno una propria economia, una propria specifica vocazione, un proprio serbatoio di speranze e un proprio bacino di investimenti. Il punto è proprio questo: perché mai deve essere uno stato alieno e asservito agli interessi dei petrolieri a decidere le sorti di un territorio a discapito della serenità della popolazione? Quand’è che ci renderemo finalmente conto che l’Italia intera deve puntare sull’acqua, sull’agricoltura, sulla propria storia e sulle tante altre risorse di cui è così ricca?»

«Non c’è modo di far coincidere e coesistere tutte queste risorse con le estrazioni petrolifere?»

«Se le attività petrolifere non fossero inquinanti, se tutto funzionasse alla perfezione e non accadessero mai incidenti, allora forse potremmo acquisire un minimo di tranquillità. Ma sappiamo tutti che non è così e che le cose funzionano in maniera ben diversa. Potrebbero verificarsi sciagure irreparabili, come la dispersione nel terreno di idrocarburi, con il conseguente inquinamento della falda acquifera e dei serbatoi naturali di acqua potabile. Di conseguenza, poiché non c’è modo di garantire che incidenti simili non accadano, non ci resta che sancire che le attività di estrazione petrolifere sono assolutamente incompatibili con le risorse e le caratteristiche dei nostri territori.»

«Non ha minimamente senso continuare a investire ancora sul petrolio, quindi?»

«Beh, per le compagnie petrolifere ha senso eccome. E la vicenda del ministro Guidi ci ha fatto capire che il nostro governo è molto sensibile ai desideri dei petrolieri. »

«Tuttavia i nostri governanti presto o tardi dovranno fare i conti con i dati incontrovertibili della crescita delle energie rinnovabili.»

«Siamo di fronte allo stesso identico problema. C’è bisogno di un governo che punti in modo trasparente al bene dei propri cittadini e non a spartire in maniera automatica la torta del finanziamento pubblico, che deriva dalle nostre tasse, tra i clan dell’eolico e le lobby dei pannelli solari. In questo momento il settore delle energie rinnovabili rappresenta solamente una nuova modalità di foraggiamento di strutture parassitarie finalizzate a guadagni parassitari.»


«Di male in peggio, quindi. A proposito di lobby e catastrofi, come va la gestione dei rifiuti in Campania? Sembra sia ormai un tema estromesso dall’agenda politica e mediatica.»

«Si è trattato di un’enorme operazione deviata di stato. Dal novantacinque fino all’epoca d’oro di Bertolaso, con il beneplacito dei vari Presidenti della repubblica e del consiglio che si sono succeduti, si è costruita a tavolino un’emergenza fittizia utile solo a sfruttare la pioggia di denaro pubblico destinato alla soluzione di questo presunto problema. Una volta esauritasi l’occasione, è scemata anche l’attenzione generale. Certo, fino a quando la legge resterà uno strumento nelle mani delle lobby, la minaccia di una nuova emergenza è sempre dietro l’angolo.» 

«E se volessimo provare a prevenire il ritorno di una simile sciagura?»

«Prima di ogni altra cosa, dobbiamo imparare a recuperare tutto ciò che è possibile ricavare dai rifiuti. È necessario, cioè, realizzare una catena industriale capace di procedere al recupero e al riciclaggio di tutto ciò che buttiamo via come rifiuto. La nostra regione è una terra troppo preziosa, non possiamo concederci il lusso di inquinarla.»


«Facciamo ancora in tempo a salvare il nostro pianeta?»
«È la natura in sé a determinare i cambiamenti più rilevanti. L’uomo contribuisce a questi mutamenti in modo molto marginale. Ciò nonostante a noi è dato il compito, tutt’altro che secondario, di preparare e predisporre l’ambiente in cui viviamo e noi stessi alle future modificazioni che si andranno a instaurare. Purtroppo, però, le lobby sono riuscite a speculare anche sul cambiamento climatico, convincendoci che era necessario per noi e per il pianeta sostituire il frigorifero e la lavatrice per inquinare di meno. Siamo, insomma, di nuovo al punto di partenza, all’unico grande problema che ci affligge: la necessità da parte di ogni cittadino di acquisire piena consapevolezza della realtà che lo circonda. Un’impresa praticamente disperata, almeno fino a quando il novantanove per cento delle informazioni sarò controllato e gestito dai potenti.»

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