Eventi e cultura

L'Occhio di Salerno incontra gli artisti della provincia – Intervista a Francesco Ventriglia

L’Occhio di Salerno incontra gli artisti della provincia. Continua il progetto di sensibilizzazione alla cultura. Abbiamo conosciuto Francesco Ventriglia, ballerino di fama internazionale ed ex allievo della scuola di danza ‘Abracadanza’ di Stefania Ciancio. Dal Teatro alla Scala di Milano, alla direzione della compagnia teatrale di Firenze MaggioDanza fino alla Royal New Zealand Ballet a Wellington.

-Chi è Francesco Ventriglia?

Ancora non lo so (ride, ndr). Dai, scherzo: ho iniziato a danzare ad otto anni, in maniera professionale a dodici anni, presso l’accademia nazionale di Roma dove ho studiato per due anni e poi successivamente al Teatro alla Scala di Milano dove mi sono diplomato. Subito dopo il diploma sono entrato a far parte del corpo di ballo e dopo sei mesi sono diventato solista. La mia carriera come danzatore si è svolta principalmente a Milano e in tutte le tournée fatte col teatro, ovviamente. Quindi New York, Londra, Parigi. Poi, all’età di 25 anni ho iniziato – parallelamente – l’attività di coreografo. E sono stato particolarmente fortunato perché come danzatore “abitavo” in un grande teatro come quello di Milano e allo stesso tempo avevo la possibilità di incontrare grandi coreografi ed imparare sul campo tante cose. Si sono affacciate subito delle buone occasioni fin quando nel 2010, dopo diversi anni che portavo avanti questa mia doppia attività, è arrivato un direttore dal teatro russo Mariinsky ed era molto curioso del fatto che io facessi queste due cose insieme e mi ha commissionato, per il 2011, una creazione per La Scala. Ho avuto un anno di tempo per creare un balletto sulla VII sinfonia di Shostakovich e al termine di questo periodo di creazione mi son detto «vediamo come va, se questo balletto ha successo smetto di ballare e mi dedico alla coreografia». Ed in realtà quel balletto ha avuto un enorme successo, aprendomi le porte a grandi palcoscenici. Tutto è successo quando ero ancora molto giovane. Mentre ero a Ginevra per la creazione artistica su Schoenberg, mi hanno chiamato da Firenze per la direzione artistica della compagnia comunale. La mia carriera è cambiata di nuovo. Ho iniziato quest’esperienza a 32 anni ed è stata davvero molto bella, positiva. Ho imparato molto. Alla fine, purtroppo, la politica ha deciso di chiudere la compagnia per problemi economici. Dopo questo tre anni direzione sono andato di nuovo a Mosca per una creazione. Da lì mi hanno invitato a partecipare a questo bando per la direzione della compagnia artistica nazionale della Nuova Zelanda. Ho partecipato. 70 candidati da tutto il mondo. Ed il ministro della cultura del Paese ha scelto me. Nell’ottobre 2014, quindi, sono partito per la Nuova Zelanda dove attualmente lavoro.

-Come hai vissuto il cambio di cultura. Da un paese come l’Italia all’Oceania?

La Nuova Zelanda è un paese anglosassone. Quindi l’impronta occidentale c’è. Sicuramente ci sono altre culture che si affacciano come quella Maori che è estremamente presente. Sicuramente il sistema di lavoro, le leggi che tutelano l’arte e la cultura sono completamente diverse. Questo è stato un grande banco di prova. Un Paese dove le cose funzionano e per farle funzionare bisogna rispettare le regole. Però, posso assicurarti che è una cultura dove puoi calarti molto facilmente.

-Quando hai sentito realmente il cambiamento? Qual è stato il passo verso il successo e come lo hai gestito?

Questa è una domanda carina che molto mi hanno fatto. Ma in realtà non mi ha mai interessato particolarmente. Una posizione di successo è semplicemente una condizione che tu consente di fare ciò che ti piace realmente. Sicuramente è una grande responsabilità. Il successo, se così vogliamo chiamarlo, è un bagaglio pesante perché spesso si raggiungono velocemente degli obiettivi ma poi bisogna mantenerli, ed è difficile. Le persone che ti seguono, il pubblico, si aspettano il passo successivo. Il talento ed il successo sono relativi, quello che conta è la perseveranza, il rigore, lo studio. Questa è la mia chiave. Ho avuto una formazione molto rigida che ho fortemente contestato durante gli anni, ma che – in realtà – è stata la chiave vincente.

-Hai iniziato molto presto a ballare, bruciando le tappe. La tua carriera ha avuto diversi cambiamenti e miglioramenti. Ti aspetti ancora altro?

Sì, assolutamente. L’unica possibilità di continuare a far parte di questo mondo è quella di avere sempre un obiettivo diverso. Ho ancora tanti sogni e tante cose che vorrei realizzare. È per quello che lavoro fortemente. Ogni traguardo che raggiungo è la preparazione per il sogno successivo. Non mi sento arrivato, non è quello che mi interessa. Mi interessa perché faccio una cosa, che tipo di risultato raggiungo e come mi può servire quel risultato per la costruzione del successivo.

-Come è nata questa tua passione?

È nata da piccolissimo, come ti dicevo. Ci sono stati alcuni eventi particolari nei quali è venuta fuori questa mia indole. Innanzitutto, mi sono sempre mosso. Sin da molto piccolo. Ero l’attrazione della famiglia perché mi muovevo sempre. Poi ci sono state alcune feste dove molti mi osservavano e dicevano «questo bambino balla». In seguito ho passato un periodo in ospedale, al Nord, ed ogni pomeriggio c’erano degli intrattenitori che venivano a stare con i bambini. Avevo 5 o 6 anni ed è lì che ho iniziato a vedere per la prima volta delle persone che formavano e sono rimasto affascinato. Ed ancora, un’amica di famiglia che studiava danza mi ha visto ballare ed ha cercato di convincere mia madre. Ero l’ultimo di quattro figli di una famiglia del Sud, quindi ti lascio immaginare i tentativi di provare altre strade come il pianoforte o il calcio. Tentativi finiti male. Alla fine mio padre si è convinto e mi sono ritrovato proprio qui, alla scuola di Stefania Ciancio. Il primo anno lo ricordo abbastanza noioso. Poi ci fu il saggio: la prima volta con il palcoscenico, le luci, il pubblico e quella sensazione mi rimase addosso per tutta l’estate. Avevo scoperto l’adrenalina. Ho frequentato la scuola fino a 11 anni, fin quando Stefania ha parlato con i miei genitori proponendo di studiare in una scuola professionale, perché lei vedeva delle doti fisiche che mi avrebbero consentito di avere una carriera. E così è iniziato questo mio percorso. Ho fatto le medie a Roma ed il liceo a Milano. Fortunatamente ho incontrato insegnanti che mi hanno trasmesso tanto e fatto appassionare anche ad altri mondi. Leggo tantissimo. Non sono calato solamente nel palcoscenico e nella danza. Mi piacciono anche le altre forme d’arte.

-Durante la tua carriera hai trovato qualche ostacolo? Se così è stato, qual è stato il più difficile?

Tanti. Nella mia carriera di danzatore, sicuramente molti. Sono cresciuto in una casa con 90 danzatori ed i ruoli sono sempre uno o due. Quindi sempre gli standard di apparire bene, di essere scelto dal coreografo. Ma la mia difficoltà più grande è che tutto accadeva molto presto, quindi ero sempre quello giovane. Il giovane ballerino, il giovane coreografo, il giovane direttore. Dunque, ho faticato fortemente affinché le persone potessero fidarsi del fatto che fossi pronto. Lavoravo per fare in modo che gli altri si fidassero di me e di ciò che potevo fare. Quando sono diventato direttore avevo 32 anni. Sono andato in ufficio per firmare il contratto, loro pensavano che fossi uno dei ballerini. Ho dovuto faticare, mi sono fatto crescere la barba, mettevo la cravatta, cercavo di apparire più grande anche per dare un peso a ciò che avevo fatto. Avevo studiato molto e mi sentivo pronto per ricoprire quel ruolo. E poi ci sono le difficoltà quotidiane per reclutare coreografi migliori, danzatori migliori, e per cercare di guadagnare di più. La danza, come tutte le forme d’arte, può “sporcarsi” facilmente. Ecco, io ho sempre fatto in modo che ciò non accadesse.

-Quando qualcuno può definirsi un’artista?

Questa è una domanda difficilissima. Da quello che osservo, in realtà c’è un sacco di gente che si definisce “artista”. Per quanto mi riguarda, è una parola che uso con grande timore. Perché in realtà non ne ho ancora idea. Ogni volta che faccio una creazione ci sono quelli che mi dicono «quel balletto era bellissimo» ed altri che mi dicono «quel balletto era terribile». Chi lo sa, io mi pongo sempre con lo stesso approccio col tipo di lavoro che faccio. Forse scopri di essere un’artista molto tempo dopo, o forse non devi saperlo. Anzi, forse è sempre meglio giudicare un’artista dopo, valutando ciò che ha lasciato. Perché se c’è qualcosa che rimane per altri, allora probabilmente hai fatto la cosa giusta.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio