Eventi e cultura

L’Occhio di Salerno incontra gli artisti della provincia – Intervista a Manuel Miranda

L’Occhio di Salerno incontra gli artisti della provincia. Continua il progetto di sensibilizzazione alla cultura. Abbiamo conosciuto Manuel Miranda, cantautore ebolitano ed insegnante.

-Chi è Manuel Miranda?

È una personalità che non so definire nemmeno io. Sono del parere che non conosciamo mai l’interlocutore che abbiamo davanti, forse conosciamo noi stessi, ma nemmeno troppo. Sono una persona che ha un indole artistica sin da piccolo, espressa in maniera diversa. In particolar modo con la musica. Una costante onnipresente nella mia vita. Parallelamente al percorso artistico, che ti aiuta a volare con la fantasia, cerco di rimanere contemporaneamente con i piedi per terra vista la mia formazione classica e il ruolo di insegnante che svolgo. A tal proposito ci tengo a precisare che “insegnare” non è un termine che amo: è presuntuoso; ai miei allievi io dico che tramando le conoscenze che sono state già tramandate a me. Conoscere la civiltà classica, è conoscere noi stessi; è un viaggio all’interno della nostra coscienza. Questo è il discorso che faccio sempre ai miei alunni.

Il mio percorso musicale, essenzialmente, parte a 14 anni. Nel 2005. Parte un po’ come per tutti i musicisti: con un gruppo. Ci chiamavamo i Rox Populi, facevamo rock and roll anni ’60. Con la differenza che, rispetto a tanti gruppi che partono con le cover, noi ci imponemmo da subito di scrivere degli inediti. Un percorso che è andato avanti per cinque anni, fin quando nel 2009-2010 – terminato il Liceo – ognuno ha preso la sua strada. Molti miei coetanei hanno abbandonato la musica, come se fosse stata una passione liceale. Per me non è stato così. Non riesco ad immaginarmi senza musica. E senza scrivere, soprattutto. Col tempo ho avuto modo – tramite diverse ricerche – di scoprire la musica greca e di fonderla alla tradizione musicale partenopea classica. Questa fusione ha portato ad un progetto che sto portando in giro da tre anni che si chiama ‘Napolellenica’. Un disco di 16 inediti. Sperando che veda la luce, perché in giro ci sono molti “predatori” ed è difficile trovare qualcuno che creda davvero in questo progetto di riscoperta del Mediterraneo. Io continuo a crederci, perché ritengo sia un prodotto valido.

-Credi che in un altro contesto, sarebbe stato più facile far diventare questa tua passione un lavoro?

Più che in un altro contesto, direi in un’altra epoca. Credo che se avessi avuto vent’anni negli anni ’70, un progetto del genere avrebbe avuto sicuramente più eco. Da una parte, parliamo di tempi in cui il rock progressivo italiano aveva successo. Ed è da quella tradizione che io attingo tutta la mia linfa; dall’altro lato c’è il cantautorato italiano a cui un aspirante cantautore deve necessariamente guardare. Io ho una passione particolare per quei cantautori che sono rimasti musicisti. Musica e testo devono essere equilibrati, non deve prevalere l’uno sull’altro. Penso a Lucio Dalla, a Pino Daniele, Edoardo Bennato, Lucio Battisti, Franco Battiato o ancora Francesco De Gregori. Per me questi sono esempi di cantautori che hanno saputo equilibrare le cose, senza nulla togliere a grandissimi artisti come Rino Gaetano o Fabrizio De André.

-Quando uno può definirsi, o sentirsi, un artista?

Bella domanda. A mio avviso, artisti si nasce non si diventa. La condizione dell’artista è un sentore che si ha dentro. Io, figurati, mi sento a disagio quando parlano di me come un artista. Io mi definisco «un umile artigiano», parafrasando Francesco Guccini (tra l’altro ho dimenticato di citarlo, uno dei mie preferiti). Quindi io sono un artigiano: scrivo, suono e canto. Essere artisti è una condizione dell’animo umano. Quando hai una sensibilità tale, da voler trasformare le emozioni che tu avverti in qualcosa di tangibile, che sia la pittura, che sia la musica o qualsiasi altra forma d’arte. È una croce e una delizia. Una croce, perché quando hai la mentalità dell’artista non stai mai fermo. Sei sempre in attività, sempre a pensare, e questo è un bene ed un male insieme. Se non ci fosse l’arte, però, sarebbe tutto più scuro. L’arte contribuisce a dare colore alla realtà. E quindi, ben venga che esistano gli artisti. Per quanto mi riguarda, ripeto, non mi definisco un artista, lascio che siano gli altri a deciderlo.

-Come è nata questa tua passione per la musica?

Nasce da lontano. A cinque anni e mezzo, per la precisione. Sin da piccolo mi relazionavo alla musica, anche per il contesto familiare: mio padre, e due miei zii, sono chitarristi. Ho ancora i video di quando ero bambino dove cantavo Edoardo Bennato. A cinque anni e mezzo, cominciai a manifestare questa mia insistente voglia di suonare la batteria. Nel frattempo, avevo sviluppato la passione per la scrittura. Scrivevo dappertutto, ero una furia. Sui fazzoletti, sugli scottex, sui muri, sui libri di papà. Avevo bisogno frenetico di dover scrivere. Un giorno entrai da Job Musikerya, ad Eboli, e c’era la buonanima di Gianfranco Naponiello, il gestore. Vidi questa batteria, senza chiedergli il permesso, e senza aver mai suonato la batteria, inizio a suonare. Rientra il gestore ed esclama rivolgendosi a mio padre «Gerardo ma tuo figlio suona?». «No, veramente è la prima volta» risponde mio padre. «Deve studiare, il ragazzo ha talento» disse Gianfranco. In quel momento papà si decise a farmi suonare. La chitarra, però. E menomale! (ride, ndr). Cominciai a suonare la chitarra, imparai l’accompagnamento sul pianoforte. Questa mia indole, si sposò con la necessità di scrivere, ho unito le due cose ed ho iniziato a scrivere canzoni (a 14 anni precisamente). Ho sempre cercato di tradurre i miei sentimenti di positività in quello che scrivevo. Sono partito dal rock, che è il mio pane quotidiano, ma col tempo ho capito che buttare fango contro tutto e tutti è una sorta di conformismo. Voglio riuscire a raccontare anche i buoni sentimenti. Anche se devo criticare aspetti della società che non condivido, uso la satira. E questo è stato il mio punto di forza.

-Pensi che le Amministrazioni locali dovrebbero approcciare in maniera diversa alla cultura ed agli artisti?

Ragionando in termini attuali, posso dirti che questa Amministrazione sta agendo bene. Io sono stato ideatore, e direttore artistico, dell’Eboli Buskers Festival – la rassegna degli artisti di strada – che quest’anno è giunta alla sua seconda edizione ed ha visto 105 artisti di strada provenienti da tutta Italia, e qualcuno anche fuori dal continente. E su questo l’Amministrazione ha scommesso. Così come ha creduto sul progetto Art House che, a mio avviso, ha un grande significato: confiscare un bene alla camorra e restituirlo alla comunità per uno scopo culturale e artistico. Diciamo che ad Eboli, dopo dieci anni di buio, la cultura sta davvero rinascendo. Politicamente, ti parlo da persona di sinistra. Anzi, comunista. Ma questo non è mai stato un limite per me: l’ideologia è una cosa, e purtroppo viviamo dei tempi in cui con l’ideologia non ci mangi, non ci fai nulla, sono superate, rimane un fatto sentimentale, quasi filosofico, ma dal punto di vista politica bisogna agire in senso civico e pensare alla comunità. Massimo, il sindaco, è un mio caro amico, fece questo discorso. Non dobbiamo vedere gli ebolitani di destra o di sinistra, ma agire in senso civico. Discorso che condivido pienamente, seppur parteggio per un’area totalmente diversa. Sono disposto a scendere a compromessi. Certo, tante cose andrebbero migliorate. Come la mentalità provinciale, il campanilismo che continua ad imperversare.

-In una società come la nostra, ben avviata verso il superamento delle ideologie, cosa ti senti di dire ad un giovane che potrebbe perdere la speranza di coltivare un sogno, l’amore per l’arte o per la cultura?

Quello che direi ad un mio cugino, o ad un mio allievo, che – sostanzialmente – appartengono ad una generazione successiva alla mia: coltivate qualsiasi tipo di passione, senza farvi influenzare dal pensiero di massa. Socrate diceva «esistono due tipi di persone: la massa ed i pochi. Questi ultimi, ragionano bene». Non voglio fare un ragionamento oligarchico, anche perché sono sempre stato dalla parte della gente, del popolo. Però, molte volte il popolo sbaglia, a causa dei luoghi comuni. Bisogna ragionare con la propria testa. Il giovane di oggi, paradossalmente, avrebbe più stimoli. Ma non li sa usare. Perché è infestato da una massa disfattista che continua a ripeterti: «ma cosa lo fai a fare». La passione, il fuoco che brucia dentro, non deve venir mai meno. Personalmente ho visto parecchi dei mie sogni realizzarsi. Il mio romanzo pubblicato, altri due libri che ho pubblicato, l’Eboli Buskers Festival ed ora Napolellenica che mi auguro di realizzare. Questo consiglio ad un ragazzo: determinazione, non arrendersi subito alle delusioni ed alle prime difficoltà.

-Grazie, Manuel. 

Grazie a te.

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