Eventi e cultura

Mediateca, sabato inaugurazione mostra di Luciano Costantini

CAVA DE’ TIRRENI. “Black Orchid. Alchimia di immagini” è il cartellone artistico parallelo all’esposizione di Marc Chagall “Segni e colori dell’anima”, ideato dalla Cosmoart, che è approdato alla Mediateca Marte di Cava de’ Tirreni dallo scorso aprile, dove, con una serie di appuntamenti da non perdere, artisti di caratura nazionale ed internazionale stanno esponendo le loro opere nelle città metelliana, per far conoscere l’Arte, in tutte le sue forme e sfumature.

Il quarto appuntamento è dal 13 al 28 giugno con l’artista Luciano Costantini che vive e lavora tra Roma e la campagna del Latium Vetus.

Costantini mostra una spiccata inclinazione per l’arte fin da giovanissimo. Negli anni dell’adolescenza si avvicina al mondo del fumetto e del design automobilistico, coniugando creatività e rigore che lo orientano verso lo studio delle discipline tecniche, una scelta che si rivelerà indicativa per l’esperienza professionale a venire. Gli anni ’90 segnano per l’artista l’allontanamento progressivo dal dato figurativo. La disgregazione dell’immagine è il preludio per l’inevitabile passaggio alla tavolozza di terre e solfuri. La dichiarata sensibilità per la spatola ed il mestichino ed il rigore contemplativo dei lavori a cavallo con il nuovo millennio gli dischiudono le porte della committenza privata, con significativi apprezzamenti da parte della critica e dell’establishment culturale.

La lettura della produzione pittorica recente di Luciano Costantini, così come afferma il critico d’arte Massimo Rossi Ruben, gravita intorno a due nodi fondamentali: la griglia (esito felice della lezione di Piet Mondrian, mandata a memoria negli anni di formazione) e il derma ideativo, mutuato dal prodigio del digitale. Due elementi che introducono prospettive e ambizioni di progettualità in quell’emancipazione che è il cammino acclive di un artista. Si tratta, dunque, di un ciclo che ben introduce e condensa la ricerca nella babele delle avanguardie e degli ismi del Novecento, decantata nella rarefazione del segno e nella vertigine di una tavolozza di lacche e droseracee. Il risultato è uno sguardo a tutt’orizzonte sulle diverse alternative dell’arte nel XXI secolo, un’ascesa terapeutica sugli elevati del labirinto, sufficientemente in alto per scrutare gli indomabili attraversamenti delle rette, la fuga di Dedalo dalla propria ingannevole invenzione della bellezza.

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