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Papa Luciani 40 anni dopo, Falasca: “Fu morte naturale, non vi fu alcun complotto”

Quarant’anni dopo quella mattina del 28 settembre 1978, giorno in cui Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, Patriarca di Venezia,  spirò dopo soli 33 giorni di reggenza del Soglio Petrino, del “Papa del Sorriso” resta la desolante condizione del Pontefice che non potè ottemperare al suo progetto di cui lo Spirito Santo gli aveva fatto fede facendolo divenire, quel 26 agosto 1978, il successore di Paolo VI, del suo Maestro Giovanni Battista Montini.

Una sorte storica che il compianto Pontefice condivise con Aldo Moro nel medesimo anno del suo efferato delitto. Lo stesso filo rosso storico, studiato da eminenti personalità intellettuali che hanno affidato ad una sorta di controstoria “l’affaire moro”, fu dedicato alla “strana” morte di Papa Luciani.  Indagini, sospetti e presunti o provati coinvolgimenti dei Servizi segreti o di una presenza radicata negli ambienti vaticani della silenziosamente affermata Loggia Propaganda 2 (P2) retta dall’allora Maestro Venerabile Licio Gelli, conversero nella pubblicazione del best seller In God’s name (In nome di Dio) scritto dal giornalista  e scrittore David Yallop.

Per contrastare storicamente la versione del complotto, la giornalista vaticanista Stefania Falasca, autorevole firma di “Avvenire”, affida la sua preziosa e scrupolosa ricostruzione di fonti sulla vita e sulla morte di Papa Giovanni Paolo I ad un volume dal titolo “Papa Luciani. Cronaca di una morte”. (Piemme, 2017). Il libro è stato prefatto dal Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede. Stefania Falasca è anche vicepostulatrice della Causa di beatificazione di Papa Giovanni Paolo I. “Papa Luciani.Cronaca di una morte” sarà presentato nella giornata di oggi presso la Sala Molinari del Chiostro della Parrocchia Maria Sant.ma Immacolata di Salerno.

La presentazione è stata organizzata dall’Azione Cattolica diocesana nella persona del Presidente Gioia Caiazzo. Dopo i saluti dello stesso Presidente Caiazzo e del Parroco Padre Massimo Poppiti, con l’autrice discutono Alfonso Conte (Docente universitario di storia contemporanea-Università degli studi di Salerno) ed Antonio Manzo, Direttore de “La Città”.

-Dott.ssa Falasca, il suo libro Papa Luciani. Cronaca di una morte ha lo scopo di debellare, dopo quarant’anni, la tesi del complotto ordito ai danni di Giovanni Paolo I ad opera, come è stato scritto, dei servizi segreti e da forze occulte presenti  nello stesso in Vaticano…

La morte di Luciani ha dato vita a un filone giallistico aperto da un ovvio best seller come In God’s name di David Yallop nel 1984 seguito negli anni da una scia di vera pattuglia pubblicistica che ha trasformato questa morte in una delle fake news più longeve del Novecento. Una pièce teatrale che ha speculato abilmente sull’immaginario accattivante di una morte violenta e cha ha finito per deformare, fagocitare l’intera esistenza e la valenza magistrale di Giovanni Paolo I.

E anche se oggi a riguardo continuano ad avere voce gli irriducibili dell’indocumentabile, questo libro non è un ennesima ricostruzione romanzata della morte di papa Luciani e il mio intento non è stato quello di smontare certa fumettistica. È il frutto di un lavoro di scavo documentale avviato dalla Causa di canonizzazione, pertanto qui a parlare sono solo le carte autentiche rinvenute attraverso la prassi di ricerca e i riscontri testimoniali, criticamente vagliati, acquisiti nel corso del processo canonico che ha trattato con metodo storico-critico la biografia e quindi anche l’epilogo della vita di Giovanni Paolo I. Gli alvei della letteratura noir sono certamente redditizi ma non interessano alla storia.

Da un punto di vista storico ciò che conta sono solo le fonti, i testi e i riscontri documentali. E alla storia era doveroso restituire anche la sua morte.

-Stando alla documentazione e alle testimonianze raccolte, lei afferma con certezza che la morte di Albino Luciani avvenne per cause naturali. Di quali fonti ha usufruito principalmente?

Si tratta di documentazione clinica alla quale si aggiungono i documenti coevi alla morte e testimonianze oculari di rilievo, acquisiti e rilasciati ai fini del processo. Per la prima volta viene quindi qui resa nota questa documentazione medica secretata perché coperta dal segreto professionale, che è vincolante anche dopo la morte del paziente. La documentazione comprende anche quella riguardante lo stato di salute del Papa, compresa la cartella clinica. Luciani aveva avuto l’ultimo ricovero per un embolia all’occhio nel 1975 e fino al marzo 1978 sono segnati i controlli. A questi referti seguono le carte inerenti alla morte.

Il dott. Renato Buzzonetti, allora medico in seconda, (il prof. Fontana era l’archiatra pontificio) ha stilato diverse relazioni coperte dal segreto professionale. Tutta questa documentazione era stata posta all’attenzione del Segretario di Stato e al Collegio dei cardinali: la constatazione del decesso, la diagnosi delle cause della morte. Ci sono anche i riscontri dei medici accademici dell’Istituto di Medicina legale della Sapienza di Roma chiamati per il trattamento di conservazione della salma (intervento che è durato dalle ore 19 del 28 settembre alle 3 del giorno seguente). A questa si aggiungono i riscontri dei teste oculari.

Come quella della suora allora in servizio presso l’appartamento papale che lo rinvenne all’alba del 29 settembre, mai prima rivelata e rilasciata solo all’istanza processuale e che riporta con puntualità il momento della scoperta del decesso. Molto importante, considerata l’assoluta credibilità della teste.

– Quali sono quindi le conclusioni di questa disamina, qual’è stata precisamente la causa della morte?

A conclusione della disamina, si evince che Luciani è stato colpito da “morte improvvisa” nella tarda serata del 28 settembre. In medicina legale con l’espressione “morte improvvisa” o “imprevista” s’intende sempre “morte naturale” ascrivibile a ischemia coronarica.

Nella relazione scritta rilasciata agli atti del processo il 28 febbraio 2013, l’ex archiatra pontificio Buzzonetti così concludeva: «Col senno di poi, ritengo che se – insieme alla comunicazione ufficiale della diagnosi di morte – da qualcuno, che ne avesse avuto l’autorità (familiari o eredi legali), i medici fossero stati liberati dal segreto professionale (vincolante anche dopo la morte del paziente), autorizzandoli a riferire la convincente storia di ricorrenti dolori precordiali, accusati dal Papa e da lui stesso sottovalutati, molte interpretazioni postume sarebbero svanite». Così è dunque che piaccia o no come andarono i fatti. In calce al libro è riportata la documentazione originale completa.

Credo chiarisca ormai definitivamente le circostanze che ne hanno determinato la morte.

-Lei ha raccolto la testimonianza di suor Margherita Marin, religiosa veneta al servizio di Giovanni Paolo I. In particolare, la Marin le ha più volte affermato che il Santo Padre non accusava mai segnali di stanchezza. Inoltre la Marin afferma che, assieme a suor Vincenza, furono le prime a trovare il Papa senza vita la mattina del 28 settembre 1978 ma che gli fu imposto da Mons Magee di non dire nulla. Può spiegare come andarono i fatti secondo questa testimonianza?

Il riferimento per le ore precedenti il decesso è certamente suor Margherita Marin, che oggi ha 76 anni, all’epoca ne aveva 37 ed era la più giovane delle suore in servizio nell’appartamento del Papa. In appartamento erano presenti quel giorno entrambe i due segretari, mons. John Magee, segretario di Paolo VI che era rimasto con Papa Luciani e don Diego Lorenzo che era stato l’ultimo dei segretari del patriarca Luciani a Venezia, che stava per essere sostituito.

Erano poi presenti anche tutte e quattro le suore di Maria Bambina che vivevano nell’appartamento. Giovanni Paolo I aveva dato pieno titolo alle suore nella vita dell’appartamento pontificio: partecipavano alla Messa mattutina nella cappella privata e come ogni sera anche in quell’ultima della sua vita Luciani le salutò per ultime prima di ritirarsi informandosi dei preparativi per la messa del mattino successivo. L’ultima suora a rivolgersi la parola è stata proprio suor Margherita di 37 anni, la più giovane del team che svolgeva le funzioni di sagrestana. La Marin rilascia una testimonianza precisa, con dovizia di particolari, del pomeriggio e della serata trascorse da papa Luciani.

Da qui sappiamo che il Papa nel pomeriggio ha fatto un breve riposo, è rimasto in appartamento leggendo dei documenti. Quindi alle 18 ha incontrato il card. Villot, di seguito ha recitato i vespri con mons. Magee durante il quale ha avuto un breve malore (lo ha svelato il giorno successivo il medico nella sua relazione). Il Papa stesso che soffriva di artrite non diede importanza a quel dolore al petto che passò e andò poi a cena tranquillamente con i due segretari. Dopo cena la telefonata con il cardinale di Milano Colombo e intorno alle 21.30 ha salutato le suore e si è ritirato da solo nella sua stanza. Il mattino seguente suor Vincenza Taffarel, che accudiva Luciani dai tempi di Vittorio Veneto, come ogni mattina, anche quel giorno lasciò nella sagrestia di fronte alla cappella il caffè.

Il Papa, come d’abitudine, era solito prendere il caffè intorno alle 5. 15 per poi entrare in cappella a pregare da solo fino alle 7, quando cominciava la Messa. Quella mattina, passati circa 10 minuti, non vedendolo arrivare la suora ha bussato alla porta della stanza del Papa e non ricevendo alcuna riposta è poi entrata dicendo: “Santità, Lei non si può permettere queste cose con me”.

Vide Giovanni Paolo I senza vita e uscì subito chiamando la consorella che entrò insieme a lei. Poi le due suore andarono ad avvertire i segretari. Suor Vincenza si diresse da mons. Magee e suor Margherita andò a svegliare don Diego. Subito dopo è stato chiamato il dott. Buzzonetti.

Fu poi il segretario di Stato, il card. Villot, a chiedere a mons. Magee di dire pubblicamente che era stato lui a scoprirlo per primo perché sembrava sconveniente rivelare che fosse una suora ad entrare nella stanza del Papa. Così per coprire quella che allora pareva un indecenza hanno spalancato le porte a tutte le possibili immaginazioni.

– Del pontificato di Papa Luciani si parla sempre della brevissima durata. Ma qual è l’importanza di questo pontificato?

Il pontificato di Giovanni Paolo I non è stato il passaggio di una meteora, è prima di tutto il segno di quella continuità di speranze che vengono da lontano e che affondano le radici nel mai dimenticato tesoro di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, che vive della luce riflessa di Cristo, vicina all’insegnamento dei grandi Padri e alla quale era risalito il Concilio. E dalla quale provengono le priorità di un pontefice che ha fatto progredire in un tempo breve la Chiesa lungo la dorsale di quelle che sono le strade maestre della risalita alle fonti del Vangelo e di una rinnovata missionarietà, perseguendo il servizio nella povertà ecclesiale, il dialogo con la contemporaneità, la collegialità nella fraternità episcopale, la ricerca dell’unità con i fratelli delle altre Chiese cristiane, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace. Su queste priorità Luciani ha scandito parole e gesti del suo breve pontificato. Ed è proprio nell’espressione di queste priorità l’importanza della sua oggi doverosa riscoperta su un piano storico e il filo diretto con il presente.

-Fece scalpore una possibile apertura di Luciani alla contraccezione. Suo l’invito ad una “maternità responsabile” negli anni del Concilio Vaticano II…

La posizione possibilista di Luciani era nota ed è stata da più parti attestata. Egli avvertiva i drammi degli sposi: ne aveva parlato anche con i familiari e diversi coniugi, si era documentato a fondo, aveva consultato teologi e medici. Sulla linea della Gaudium et spes, aveva redatto scritti in cui auspicava uno sviluppo della dottrina. L’8 aprile 1968 intervenne ancora davanti ai medici cattolici, esponendo lo stato degli studi teologici sulla regolazione delle nascite.

Le problematiche morali e scientifiche legate al controllo delle nascite avevano infatti interessato Albino Luciani che le studiò con particolare attenzione cercando una strada in cui l’applicazione della dottrina cattolica potesse tenere in considerazione anche il dramma di coscienza di molte coppie credenti, tormentate dalla discrasia tra la fedeltà alle indicazioni magisteriali e le effettive difficoltà della vita di coppia. Si deve quindi distinguere – da una parte – la riflessione e le preoccupazioni di un pastore che è anche teologo dogmatico in ricerca, vicino con grande sensibilità pastorale alle difficoltà di tante coppie cristiane e quindi favorevole ad un maggior approfondimento della dottrina cattolica sulla questione e – dall’altra parte – considerare il vescovo fedele a una dottrina che era rimasta sostanzialmente e costantemente salda nella disapprovazione delle pratiche contraccettive. Una sua nota dattiloscritta fino ad oggi inedita e pubblicata su Avvenire racchiude asserzioni che permettono di inquadrarne nitidamente il pensiero e presentano significative riflessioni, frutto della sua prolungata ricerca scientifica, teologica e pastorale. È questo sguardo che caratterizzerà l’approccio del futuro Papa verso ogni questione morale.

Un atteggiamento rigoroso e chiaro sul piano dottrinale che tiene costantemente presenti la delicatezza delle singole situazioni alla luce del messaggio evangelico, il valore della coscienza come tale e in ultimo il ministero apostolico stesso che proprio dalla magnanimità di Dio ha la sua propria misura.

-Da quella notte sono trascorsi quarant’anni. Su quali linee avrebbe indirizzato il suo pontificato? Cosa resta alla Chiesa universale? 

La sua disponibilità si era sostanziata nell’annuncio evangelico. Fin dal suo primo discorso programmatico aveva messo l’accento su tale annuncio, «primo dovere della Chiesa intera», offrendosi come impronta perché il Vescovo di Roma potesse essere di tutti e particolarmente dei poveri, «veri tesori della Chiesa», come aveva ripetuto a San Giovanni in Laterano. Ed è proprio nell’espressione di queste priorità, mostrate da Luciani nel corso del suo pontificato, il filo diretto con il presente. È allora in questa stringente attualità che va riconsiderata la sua statura erede e precorritrice dei tempi.

Non occorre perciò chiedersi quale sarebbe stata che con lui avrebbe percorso la Chiesa. L’immagine che di essa nutriva Giovanni Paolo I è quella del discorso delle Beatitudini, dei poveri di spirito, che non si nasconde né si confonde con la logica delle mistificazioni o delle consorterie. Non si è chiuso con lui un capitolo della storia dei papi. Ciò che la Chiesa sta rivendo nel suo interno da Giovanni XXIII, dal Concilio, da Paolo VI non è una parentesi. Se il governo di Albino Luciani non poté dispiegarsi nella storia, egli ha concorso più di ogni altro a rafforzare oggi e a testimoniare oggi il disegno di una Chiesa che con il Concilio è risalita alle sorgenti per essere fedele alla natura della sua missione nel mondo.

-Lei ha più volte scorto profonde analogie con papa Francesco. Quali sono le principali affinità?

Papa Luciani è stato eletto nel primo conclave dopo il Concilio e ne è stato un apostolo e come per Bergoglio, primo Papa ad essere stato ordinato prete dopo il Concilio, esso è tale per essere vissuto da entrambi nel suo insieme. E proprio perché ne sono figli, naturaliter et simpliciter, come figli, lo incarnano.

In questa prospettiva Luciani stringe un vincolo con l’attuale Pontefice. Bergoglio non ha conosciuto Luciani ma dimostrò di essere stato attento lettore dei suoi scritti. Ne ho avuto diretto riscontro perché mi diede suggerimenti quando preparavo la mia tesi di dottorato su Illustrissimi (la silloge di lettere immaginarie che Giovanni Paolo I volle ridare alle stampe proprio nel corso del suo breve pontificato). Le affinità elettive si evidenziano nel loro essere apostoli del Concilio.

Le quattro udienze generali sull’umiltà, la fede, la speranza e la carità che Luciani tenne durante il pontificato, restano un esempio preclaro di quanto fosse efficace l’oralità lucianea alla luce del Vangelo, nel solco del Concilio Vaticano II, coniugando nova et vetera in felice e geniale sintesi. Prossimità, umiltà, semplicità e insistenza sulla misericordia e sulla tenerezza di Dio, sono i tratti salienti di un magistero conciliare che quarant’anni fa suscitarono attrattiva nel popolo di Dio. E sono per me gli stessi tratti che lo rendono attuale oggi legandolo in filo diretto di continuità con l’attuale Successore di Pietro. Giovanni Paolo I è stato anzitutto testimone dell’amore misericordioso di Dio: è una costante della sua vita conforme alla sua predicazione. E proprio in  questo continuo riferimento alla natura del cuore di Dio che è amore, amore che ci precede, risiedono le consonanze profonde con la predicazione di papa Francesco.

-Che cosa ha significato l’avvio della sua causa di canonizzazione? 

Penso che l’avvio e la conclusione di questa causa abbiano segnato la riscoperta della valenza del suo magistero e del suo pontificato. Un pontificato che, pur breve, non fu per questo minore. Soprattutto la causa è stata determinante per il lavoro di scavo archivistico e di ricerca che non era mai stato compiuto e si offre dunque quale contributo per poter parlare davvero su base documentale di papa Luciani, considerata ancora ad oggi la scarsità dei contributi scientifici prodotti sulla sua opera e il suo pensiero.

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