L'intervista

Quel regno incantato della musica di nome Disclan – Intervista a Mario Maysse

Di Angelo Cariello (Foto di Valentina Gaudiosi)

Potrei cominciare questo pezzo citando un sociologo che spieghi come la modernità sia un inarrestabile flusso liquido che ha ormai stravolto i connotati della società in cui viviamo, dissolvendo completamente legami e valori in cui si radicavano il nostro senso di appartenenza a una comunità organica e solidale.

Oppure potrei attaccare con la riflessione di un economista che illustri come, nei tempi che corrono, il grosso sia per forza di cose destinato a fare un sol boccone del piccolo, con buona pace di noi poveri romantici costretti a soffrire di un’eterna e incolmabile nostalgia. Meglio ancora sarebbe, dovendo parlare di un negozio di dischi, iniziare con il verso di una canzone, magari giocando di contrappunto tra il tono spento e metallico del giovanotto antipatico e supponente che si è a malapena avviato in questa attività (mi riferisco al protagonista di un brano degli Offlaga Disco Pax, intitolato, per l’appunto, “Tono metallico standard”) e la palpitante e confortevole sensazione di ritrovarsi a casa propria che è capace di trasmetterti chi un negozio di dischi lo regge e amministra da più di un quarto di secolo. Scelgo quest’ultima via.

E parto proprio dal senso di vivo calore che provo ogni qualvolta, trovandomi nei pressi del centro di Salerno, raggiungo piazza Portanova per accedere a quel piccolo grande regno incantato della musica chiamato Disclan. C’è qualcosa di ancestrale nella sensazione che docilmente mi assale quando metto piede in questo negozio di dischi che conta già cinquantuno primavere, è come un ricongiungersi col grembo materno, un nuotare nel ventre del proprio elemento al riparo da ogni possibile minaccia o avversità esterna.

In questa collezione di storie e personaggi straordinari che da qualche tempo porto avanti su questa testata, mi è sembrato doveroso dedicare un articolo alle gesta di Mario Maysse, totem sempreverde dalla sconfinata conoscenza musicale che conduce, assieme a sua sorella Elisabetta, l’epica impresa di portare avanti un negozio di dischi nell’era in cui anche il più onesto e appassionato collezionista di dischi non ha resistito alla tentazione di accumulare tonnellate di canzoni, dischi e discografie scaricati gratuitamente – e, fa sempre bene ricordarlo, illegalmente – da internet.

Mario Maysse - Foto di Valentina GaudiosiMario Maysse – Foto di Valentina Gaudiosi

«Mario, a chi è venuta, cinquantuno anni fa, l’idea di aprire un negozio di dischi?»

«A mio padre, Luciano Maysse. Faceva il cantante, aveva raccolto grandi consensi incidendo un 45 giri con un brano scritto da Peppino Di Capri. La sua canzone fu pubblicata in una compilation della Ricordi, una raccolta che ospitava anche Gino Paoli, Luigi Tenco e il Quartetto Cetra. Aveva già fatto varie tournee e aveva aperto i concerti di Mina e Ornella Vanoni. Ma quando la sua casa discografica gli chiese di trasferirsi a Milano per dare un seguito alla sua carriera, papà rifiutò. Decise di restare a Salerno, era molto legato alla sua città, non voleva lasciarla. Così investì tutti i suoi risparmi e aprì, nel 1965, un negozio di dischi a piazza Malta. Tra l’altro, oltre ai ricavi provenienti dalla vendita del suo disco, poteva contare anche sui premi che aveva vinto, qualche anno prima, nel 1959, al Musichiere, la famosa trasmissione della Rai in cui i concorrenti gareggiavano per indovinare i titoli delle canzoni. Fu scelto, poi, tra tutti i vincitori, come testimonial del programma e volò a Los Angeles ad incontrare Walt Disney».

«Deve essere stato un uomo speciale, tuo padre. Una vita intera dedicata alla musica.»

«Per mio padre la musica era tutto. Credo che per lui sia stato naturale, una volta abbandonata la carriera di cantante, passare dall’altra parte e mettersi a vendere dischi. Era un modo per restare a Salerno e portare avanti nello stesso tempo il suo sconfinato amore per la musica. Cos’altro avrebbe potuto fare se non creare un ritrovo per le persone accomunate dalla sua stessa passione?»

«E così a è nato Disclan, il clan del disco.»

«Nel nome che aveva scelto per il suo negozio era già espresso il concetto di un club dedicato alla comunità degli amanti della musica, un punto di riferimento per “gli amici del disco”, frase che aveva fatto stampare sulle buste e che abbiamo ripreso anche noi. In quel periodo – per quello che mi hanno raccontato – a Salerno si respirava un bel clima, la cultura era in fermento. La gente comprava i dischi, qui a Disclan venivano tantissimi artisti famosi che conoscevano mio padre, da Renato Zero a Jimmy Fontana, passando per Guccini, che papà scarrozzava con la sua auto in giro per strade di Salerno. C’erano poi le radio libere, un’esperienza a cui ha preso parte anche mio padre. Erano uno strumento attraverso cui diffondere un tipo di musica diverso da tutto ciò che era stato trasmesso fino allora. Prendevano pian piano forma le varie tendenze e, in questo fenomeno, la musica cominciava ad assumere il ruolo importantissimo di elemento distintivo.»

«Sarebbe stato bello per te poter collaborare con tuo padre, vero?»

«È il mio più grande rammarico, mi sarebbe piaciuto poter affrontare un pezzo di strada insieme a lui, avrebbe potuto insegnarmi molto dal punto di vista lavorativo. E invece papà se ne è andato prematuramente, nel febbraio del 1990. Avevo diciotto anni, studiavo all’università, volevo diventare un giornalista musicale. Io e mia sorella ci ritrovammo, da un giorno all’altro, di fronte a un bivio: o Disclan chiudeva, o tentavamo noi stessi di proseguire il percorso avviato da nostro padre. Naturalmente, scegliemmo la seconda alternativa. Il negozio, d’altronde, rappresentava l’unica fonte di reddito per la nostra famiglia. Prima ancora, però, Disclan era una creatura di nostro padre e, a prescindere da ogni altra cosa, per noi valeva assolutamente la pena provare a tenerla in vita. Ovviamente, non fu semplice, i fornitori si ritrovarono all’improvviso a trattare con due ragazzini, molti di loro non volevano farci credito; in compenso, molte altre persone che collaboravano con mio padre, insieme a qualche nostro parente, si offrirono di darci una mano. Anche grazie a loro Disclan ha potuto continuare il suo cammino.»

«Ritrovarsi, ancora ragazzini, a gestire un’impresa simile e, nonostante tutto, riuscire negli anni a dare, alla meravigliosa storia iniziata da vostro padre, un seguito assolutamente degno di quanto lui aveva già fatto. Tanti avrebbero fallito, è un dato di fatto.Come ci siete riusciti, tu ed Elisabetta?»

«Ne abbiamo passate tante. Abbiamo informatizzato la gestione del negozio, è stato il nostro primo contributo alla conduzione dell’attività, e questo ci ha favorito molto nell’amministrazione delle nostre risorse. Abbiamo scelto di non seguire il mercato della musica dance, abbiamo ridotto l’attenzione verso la musica classica e ci siamo concentrati in maniera decisa sul jazz, sul rock, sul metal, sul rap e su tutta la musica elettronica che cominciava a emergere dalla scena inglese. Avevamo installato un fax nello studio, arrivavano chilometri e chilometri di fogli, passavo le giornate a leggerli per ordinare i dischi di cui avevamo bisogno. Poi c’è stata l’esplosione del cd, un periodo felice, in ogni macchina compariva un’autoradio e tutti venivano da noi a comprare i dischi. Le vendite andavano bene, il negozio a piazza Malta si era fatto ormai troppo piccolo per le nostre esigenze e cominciammo a pensare di prendere un nuovo locale più spazioso. Di punto in bianco, invece, arrivò nel centro della città un colosso come la Ricordi che, con la sua capacità infinita di titoli e con gli spazi immensi di cui poteva disporre, rappresentava alla perfezione tutto ciò che Disclan per forza di cose non avrebbe mai potuto essere. Trovai per puro caso un locale in affitto proprio vicino allo store della Ricordi e così ci trasferimmo. Certo, il loro negozio aveva probabilmente più appeal, però sapevamo che si trattava di un fenomeno destinato ad assestarsi. E poi mi piaceva l’idea di un polo musicale che avrebbe garantito ai clienti la possibilità di confrontare i prezzi e i titoli tra noi e loro.»

«Eppure a Salerno la Ricordi ha chiuso i battenti ormai da anni mentre Disclan è ancora al suo posto.»

«Anche se la Ricordi ha rappresentato effettivamente il nostro primo vero competitor, la sua chiusura non ci ha portato nessun tipo di vantaggio. Anzi, a dirla tutta, fino a che è rimasta in vita, c’era lavoro sia per noi sia per loro, e noi stessi, qui a Disclan, riuscivamo a dare lavoro anche ad altre persone che collaboravano con noi. La chiusura della Ricordi significava che la gente aveva smesso di comprare i dischi: eravamo entrati nell’era del download, un fenomeno che ha letteralmente sbriciolato tutto ciò che avevamo faticosamente costruito. Abbiamo scoperto di essere anacronistici e, peggio ancora, completamente inutili. Che senso poteva più avere consigliare a un cliente di comprare un disco al posto di un altro quando quel cliente stesso poteva scaricare gratuitamente da internet sia l’uno che l’altro? L’orizzonte si era fatto cupo, non riuscivamo a vedere più un futuro per la nostra attività.»

Disclan - Foto di Valentina GaudiosiDisclan – Foto di Valentina Gaudiosi

«Niente da fare, nemmeno il download selvaggio e la pirateria digitale sono riusciti a stendervi.»

«Ci hanno dati per spacciati tante volte in tutti questi anni. Probabilmente il nostro merito più grande è proprio quello di aver avuto sempre la forza di continuare a credere in questa impresa. Anche quando ci dicevano che il mercato del disco era ormai un discorso chiuso una volta per tutte, che nessuno avrebbe più comprato i dischi e che il disco stesso – come oggetto fisico – non aveva più ragione di esistere. Abbiamo fatto i salti mortali, ci siamo massacrati di lavoro senza badare agli orari o ai giorni festivi, è vero, ma il nostro amore per Disclan e per questo mestiere alla fine ci ha dato ragione.»

«Vuol dire che l’orizzonte si è rischiarato e che economicamente adesso Disclan se la passa finalmente bene?»

«Disclan per noi è un’autentica missione in nome della quale Elisabetta ed io abbiamo sacrificato ogni altra cosa, un procedere ostinato contro tutto e tutti che va al di là anche delle difficoltà economiche con le quali ancora oggi dobbiamo fare i conti. Continuiamo, come allora, a fare immensi sacrifici per pagare tutto ciò che c’è da pagare per mantenere in piedi quest’impresa. Abbiamo costi di gestione altissimi perché qui, nel centro di Salerno, gli affitti sono salatissimi. Confesso che, dopo tanti anni, non sono ancora riuscito a capire perché Salerno debba avere affitti paragonabili a quelli di una grande metropoli quando invece continua a essere una città afflitta da tante, troppe carenze strutturali. Probabilmente il motivo è da ricercare nel fatto che buona parte dei locali è in mano a poche famiglie che si ritrovano nella condizione di poter imporre prezzi assurdi. Ancora più assurdo è che ci siano tanti commercianti e imprenditori disposti ad assecondare docilmente le loro richieste, senza battere minimamente ciglio. E così gli affitti continuano a salire.»

«È il prezzo da pagare per vivere in una città – almeno così dicono – europea?»

«Devo ammettere con piacere che oggi Salerno può contare su flussi turistici mai registrati in passato. Le strutture ricettive sono sempre piene da quando gli stranieri hanno scoperto che, venendo a Salerno, hanno la possibilità di visitare le due costiere. Le navi da crociera, invece, non portano assolutamente niente alla città, se non qualche gruppo di anziani che si fermano a mangiare un gelato nel corso. Comunque sia, ciò che manca a Salerno non sono certo gli operatori, anzi, c’è in giro tanta gente valida e determinata. Sono i parcheggi a mancare e questo scoraggia chi viene dall’entroterra. Così come, altra grave carenza, mancano i posti adatti a ospitare i grandi eventi. Ad oggi, non esiste ancora una struttura, nell’intera città, che abbia tutto ciò che serve per ospitare un concerto. Al Teatro Diana manca l’agibilità. E il Teatro Nuovo, almeno a mio avviso, non è assolutamente adatto per eventi simili.»

«E a perderci, oltre ai salernitani, è la musica in generale.»

«Mi chiedo come possa nascere in un ragazzino la voglia di imbracciare una chitarra se non gli si offre mai l’occasione di vedere musicisti suonare dal vivo. Anche a noi piacerebbe dare sempre più spazio alla musica dal vivo, organizzando – come già facciamo – concerti e showcase. Sono convinto che il futuro di Disclan passi anche per la realizzazione di eventi simili, iniziative che coinvolgano le tante realtà belle che è ancora possibile trovare a Salerno. Perché qui a Salerno, anche se le menti migliori della mia generazione hanno ormai lasciato la città, continua a esistere una scena musicale di grande valore, ci sono ragazzi che mettono su etichette e che continuano a portare avanti progetti musicali molto interessanti. Ci siamo trasferiti in questa piazza proprio con l’obiettivo di poterla sfruttare per dare spazio e voce anche all’intera scena musicale salernitana.»

«E invece, non più tardi di un anno fa, il comune ha negato piazza Portanova al concerto organizzato da Disclan per festeggiare i cinquant’anni di attività per poi concedere, qualche giorno dopo, la stessa piazza per l’esibizione di Valerio Scanu.»

«Volevamo onorare un traguardo così importante con un concerto in piazza nel giorno della Festa della Musica. Avevamo coinvolto alcune band salernitane, era un modo per provare a rompere il torpore che spesso attanaglia questa città. Ma non riuscimmo a ottenere dal Comune le autorizzazioni necessarie. I giornali ripresero un mio sfogo e montò la polemica. Dopo quest’incidente, mi telefonarono dal Comune per dirmi che si era trattato di un piccolo malinteso e che, nelle loro intenzioni, avrebbero voluto concederci un’altra piazza altrettanto prestigiosa. A me pareva scontato che l’unica piazza che potesse avere una connessione con il nostro negozio fosse piazza Portanova. Chissà, magari ci riproveremo nel cinquantacinquesimo anniversario. Comunque sia, ci rimasi molto male, anche perché abbiamo sempre contato solo e soltanto sulle nostre forze e non ci siamo mai sognati di pretendere dalle istituzioni qualcosa che non c’era dovuto.»

Elisabetta e Mario Maysse - Foto di Valentina Gaudiosi              Elisabetta e Mario Maysse – Foto di Valentina Gaudiosi

«Come è possibile non avere consapevolezza della portata culturale di Disclan?»

«Grazie al cielo, possiamo contare su una clientela meravigliosa. Sono stati i nostri clienti a darci la forza necessaria a superare i momenti più duri. Nel 2008 aderimmo, quasi per gioco, al Record Store Day. Sapemmo di questa iniziativa, una giornata mondiale per la salvaguardia dei negozi di dischi indipendenti. Fummo tra i primi, in Italia, a partecipare. Chiamammo a raccolta i nostri clienti storici e il nostro pubblico rispose alla grande. Capimmo che il nostro negozio aveva ancora tanta strada davanti a sé e che, quindi, il nostro mestiere poteva ancora sopravvivere perché tante persone avevano ancora voglia di venire a Disclan per comprare un disco o per ascoltare un nostro consiglio. Negli anni, questo appuntamento ha acquistato sempre più valore. E nel 2013 il pubblico ha eletto Disclan, in un sondaggio realizzato da Rolling Stone, il negozio di dischi più amato di tutti i tempi. Anche Vincenzo De Luca si congratulò con noi in quell’occasione.»

«Chiudiamo con una domanda che a me stesso suona come del tutto retorica, un quesito piuttosto banale a cui chiunque aspiri a definirsi amante della musica dovrebbe saper rispondere. Tuttavia, credo sia importante che sia tu a dire certe cose. Per quale motivo un appassionato di musica dovrebbe venire a comprare i dischi a Disclan e non alla Feltrinelli o su uno store digitale?»

«Cosa ci può essere di più bello di avere uno storico negozio di dischi nella propria città, un negozio che è passato attraverso gli anni, le crisi, le generazioni, un negozio che è sempre stato un punto di riferimento per tutti i salernitani? Disclan è un pezzo dell’identità culturale di questa comunità, è un pezzo di storia di Salerno. In questo negozio sono nate tante storie d’amore, le persone che si incontravano qui la domenica pomeriggio, si guardavano, si annusavano, si conoscevano, si innamoravano mentre ascoltavano un disco. Siamo sempre andati oltre la dimensione del semplice negozio, questo è sempre stato un punto di incontro, ci si dava appuntamento davanti al negozio a piazza Malta così come oggi ci si dà appuntamento qui, a piazza Portanova. Si viene a Disclan per stare insieme, per parlare, per confrontarsi, per farsi consigliare un disco o per consigliare un disco a noi. È un’istituzione di cui facciamo parte tutti, un racconto collettivo a cui ha contribuito chiunque abbia scelto almeno una volta di venire a comprare un disco da noi, dandoci la possibilità di proseguire in questo cammino. Forse acquistare un disco online con un click può risultare molto più comodo, ma io continuo a credere che valga la pena chiedere ai nostri clienti di sostenerci. Soprattutto in momento in cui, con il ritorno al vinile, sembra intravedersi per noi uno spiraglio di luce in fondo al tunnel. La riscoperta del vinile, simbolicamente il supporto fisico per eccellenza, ha aperto nuove prospettive al mercato musicale. È un’iniezione di speranza per il futuro del nostro mestiere. Un motivo in più per supportarci, per venire a Disclan a comprare un disco. E consentirci di rimanere ancora in vita. Te la immagini una Salerno orfana di Disclan?»

Disclan - Foto di Valentina Gaudiosi
                                                     Disclan – Foto di Valentina Gaudiosi
Mario Maysse a Disclan - Foto di Valentina Gaudiosi
                                   Mario Maysse, Disclan – Foto di Valentina Gaudiosi
Mario Maysse - Foto di Valentina Gaudiosi
                                                Mario Maysse – Foto di Valentina Gaudiosi

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