Cronaca

Salerno, pene non cumulabili: il boss D’Agostino tornerà libero

Condanne non cumulabili: a Salerno, il boss Peppe D’Agostino si avvia versi la scarcerazione e potrebbe tornare libero nelle prossime settimane.

D’Agostino verso la scarcerazione

Nonostante l’assoluzione per l’omicidio di Lucio Esposito, genero di Consolato Grimaldi, resta il 41 bis per Peppe D’Agostino. Che dovrà scontare ancora questi due anni al carcere duro. Per la Cassazione il regime carcerario è previsto per i “capi” delle associazioni camorristiche e mafiose in genere.

A vuoto il ricorso che fu presentato dal legale del boss salernitano che aveva impugnato un precedente diniego da parte dei giudici del Tribunale di Sorveglianza di Roma. D’Agostino è ancora al “carcere duro” in virtù di un decreto emesso dal Ministero della Giustizia nel luglio 2016.

Ed è recluso – tra detenzione preventiva ed espiazione pene – da circa un ventennio, da quando cioè fu arrestato dalla Dda salernitana perché ritenuto capo dell’omonimo clan che, alleatosi con Amedeo Panella, dettava legge in città in materia di droga, gioco d’azzardo ed estorsioni.

Un clan che, nella seconda metà degli anni ’90, sferrò un attacco durissimo ai rivali del clan guidato da Lucio Grimaldi, con attentati ed omicidi. Proprio in virtù di tali episodi i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Roma avevano negato il reclamo presentato da D’Agostino contro la proroga del regime del 41bis.

Confermato, tra l’altro, anche in virtù di una serie di informative chieste alla Dda locale che confermarono l’attuale ruolo attivo del boss nelle dinamiche criminali salernitane anche attraverso persone a lui collegate. A cui si aggiungono i collegamenti intrattenuti da D’Agostino, secondo i giudici, con esponenti di spicco del traffico di sostanze stupefacenti. Circostanze queste confermate anche dai giudici della Suprema Corte che hanno respinto il ricorso.

Nonostante che anche nell’ultima relazione della Dia Peppe D’Agostino sia indicato come il capo della camorra salernitana e pur essendo in regime di 41 bis da qualche anno si avvia a riconquistare la libertà per un fine pena. Un paio di anni e D’Agostino potrà lasciare il carcere.

E tornare un uomo di libero. D’Agostino sta scontando sta infatti scontando unpena trentennale legataal suo arresto, nell’aprile del 1998, quando fu sgominato l’intero clan Panella al termine di un clamoroso blitz delle Forze dell’Ordine.

Altri 30 anni gli furono inflitti in Appello per l’omicidio di Antonio Nese, fratello di Peppe ‘o Niro ucciso anni prima nella sua discoteca a Pastena ed entrambi nipoti di Lucio Grinaldi ‘o Vampiro. L’ assassinio di Nese era stato collegato, dagli inquirenti, allo scontro furioso per il controllo di una serie di attività illegali: dal gioco d’ azzardo alle scommesse clandestine.

In primo grado accusato dai pentiti, per l’omicidio di Antonio Nese, D’Agostino fu condannato all’ergastolo. pena che in secondo grado, con il ricoprso dei suoi avvocati Gargiulo e Spadafora fu tramutata in anni 30, non cumulabile con con gli altri 30.

E secondo i calcoli dei suoi avvocati a D’Agostino, che si è sempre proclamato innocente. Resterbbe ancora poco da scontare in carcere. L’omicidio di Nese avvenne il 5 marzo del 1996 in via Galloppo a Torrione, davanti al circolo “Bumper pool”. Per quel delitto furono condannati il boss Amedeo Panella, che sparò contro il nipote di Grimaldi cinque colpi di pistola, e Ciro Ferrara, che si sarebbe occupato del recupero dell’auto utilizzata per l’agguato insieme a Luca Rosamilia e Luigi Memoli, ormai deceduti.

Secondo l’impianto accusatorio, accolto dai giudici, del commando faceva parte anche Peppe D’Agostino e anche lui provò a sparare, solo che la sua pistola si inceppò. L’agguato maturò nell’ambito della guerra di camorra per la leadership criminale sulla città.

Nese fu freddato perché era stato individuato come l’autore del triplice omicidio di Croce, in cui erano stati uccisi i cognati di Panella.

Dopo l’agguato i killer fuggirono a bordo di una Lancia Thema rubata a Napoli qualche giorno prima e si diressero verso Giovi Altimari. Lì c’erano ad attenderli Rosamilia, Memoli e Ferrara, che si occuparono del recupero e della distruzione del veicolo.I legali dell’imputato, attraverso la deposizione di nuovi testi dimostrarono che D’agostino e Panella strinsero l’allenza criminale solo dopo l’omicidio di Nese. Un elemento che però non riuscì a farlo assolvere.

 

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