CronacaInchiesta

Salerno, le ex carceri: tetti sfondati, immondizia, topi e degrado

SALERNO. L’inchiesta portata avanti da “La Città” accende la luce su diversi scheletri nell’armadio, possenti schiaffi sul volto verso una città che ha largamente dimenticato i propri luoghi storici di rilievo. Uno su tutti è l’ex complesso di Sant’Antonio, sorto nel 1810 con decreto napoleonico (dopo che furono soppressi gli ordini religiosi del Regno delle Due Sicilie) che ora, abbandonato a se stesso, è divenuto un cumulo di macerie.

A poche centinaia di metri dal centro storico alto, invece, vi è l’ex carcere femminile e l’ex maschile, due strutture entrambe fatiscenti trasformatesi (negli anni di abbandono) in una vera e propria discarica a cielo aperto, un rifugio per extracomunitari privi di dimora e una minaccia per l’incolumità pubblica. Il carcere femminile nacque grazie alla fusione del monastero dei Cappuccini con la chiesa di Santa Maria della Consolazione avvenuta nel 1864 ed ha svolto al sua funzione sino alla metà degli anni ’80, quando fu abbandonato dopo l’inaugurazione della casa circondariale di Fuorni. Attualmente i due edifici patiscono un livello di igiene al di sotto dello zero, il tutto condito da un decadente e raccapricciante stato d’incuria.

L’ex carcere femminile e quello maschile si presentano come dei ruderi pagani smorti e infestati di vegetazione. Da aperture prive di porta si si può notare immondizia e vecchi arredi in rovina che la fanno da padrone, mentre, in qualche corridoio, il vecchio parato in plastica ancora resiste alle offese del tempo, rendendo ancora più irreale la scena. Costeggiando i due edifici si ha modo di intraprendere uno slalom tra materassi abbandonati, sacchi di immondizia e cocci di bottiglia, a una facciata contrassegnata da pietre diroccate, infissi arrugginiti, vetri rotti. Nonostante il tragitto è stato segnalato dagli amanti di Trecking, pochi passi più avanti possiamo denotare una intera cornice di siringhe e spazzatura, non lasciando agli avventori nulla da ammirare ma molto da disprezzare.

(Fonte: La Città)

 

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