Lavoro

Svolta nell'avvocatura: praticantato a numero chiuso?

Pubblichiamo il comunicato congiunto di Rete della Conoscenza, Link – Coordinamento Universitario e Dike – Network dei praticanti e tirocinanti forensi sullo schema di decreto sulla disciplina dei corsi di formazione per la formazione forense, in attuazione dell’art. 43 della Legge n. 247/2012.

Mercoledì 23 marzo il Ministero della Giustizia ha inviato al Consiglio Nazionale Forense (CNF) lo “Schema di di decreto del Ministro della giustizia concernente: Regolamento recante la disciplina dei corsi di formazione per la professione forense”, in attuazione dell’art. 43 della Legge n. 247/2012 (Legge Professionale Forense). Leggi lo schema di decreto —-> http://goo.gl/WuZGiM

Riteniamo sia necessario rendere pubbliche alcune considerazioni in merito al contenuto che, già in prima lettura, non appare rassicurante per il futuro dei neo-laureati interessati allo svolgimento del percorso di accesso della professione forense. Tale regolamento va a disciplinare l’istituzione e il contenuto di corsi di formazione obbligatori e propedeutici allo svolgimento della pratica forense; in tal modo di cerca di intervenire “a valle” dei percorsi formativi degli studenti e dei laureati in giurisprudenza. In una fase che dovrebbe essere già “abilitante”, si inseriscono ulteriori criteri di selezione, molto simili a quelli previsti per le scuole di specializzazione per le professioni forensi, più funzionali ad un “parcheggio” post-laurea che ad una vera tensione professionale.

La partecipazione a tali corsi sarà obbligatoria, prevedendo numero programmato, che di fatto rende l’accesso alla professione “a numero chiuso”, e numerosi esami in itinere (nel corso dei 18 mesi di pratica sarà obbligatorio svolgere tre esami di profitto per la verifica delle competenze acquisite), tra cui un esame finale, che consisterà in una “Simulazione della prova dell’Esame di Stato”, secondo quanto disposto dall’art. 8 del presente regolamento. Tali corsi avranno un costo che sarà a carico dei partecipanti, con l’eventualità che i soggetti promotori degli stessi dispongano borse di studio esclusivamente sulla base del merito, rafforzando l’esclusione su carattere censitario dalla professione.

Sembra proprio che la ratio di tale regolamento sia quella di “sfoltire” il numero di avvocati presenti in Italia attraverso la revisione della formazione post-laurea, rendendo l’accesso alla professione notevolmente costoso ed elitario, sottoponendo la possibilità di effettuare la pratica alla valutazione della carriera universitaria o di un apposito esame di ingresso. In merito ai corsi di formazione, il regolamento dispone che gli stessi avranno carattere teorico e pratico. Il vero obiettivo dovrebbe essere, al contrario, colmare le lacune a livello pratico, vero punto debole delle nostre università, che dovrebbero offrire una didattica non solamente teorica, ma anche pratica, stante l’assenza appunto di un piano didattico che preveda l’inserimento di corsi inerenti l’aspetto pratico delle materie giuridiche. Tale risultato si potrebbe conseguire iniziando ad attuare ciò che è già previsto dalle “legge forense”, come l’anticipo di 6 mesi del tirocinio forense all’ultimo anno di giurisprudenza.
Già da tempo si parla di restringere l’ accesso alla professione legale, come si è proposto con l’inserimento di un corso di laurea professionalizzante, con accesso a numero programmato. Si coinvolgano le parti interessate in questa discussione, affrontando la condizione dei praticanti e tirocinanti forensi nel suo complesso: resta l’esigenza di un regolamento che vada a migliorare l’attuale sistema, garantendo un contratto di formazione per i giovani tirocinanti e che preveda la formazione pratica effettiva e non fittizia, come spesso accade, concentrandosi ulteriormente sul corretto svolgimento dell’Esame di Stato, il quale si configura già come uno strumento di sbarramento all’accesso alla professione, adesso possiamo solo percepire il paradosso di dover fare un esame per accedere ai corsi di formazione, svolgere 18 mesi di formazione in concomitanza con la pratica forense con annesse prove “inter-corso” ed effettuare un esame finale, al solo fine di poter essere abilitati a sostenere l’esame di stato per lo svolgimento della professione. Una spada di Damocle infinita sulla testa di migliaia di laureati.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio