Eventi e cultura

Testae, ‘Il tempo di una Polaroid’ al Moa di Eboli

L’esposizione fotografica è fruibile gratuitamente fino al 27 novembre, negli orari di apertura del Museum of operation Avalanche

Ad Eboli, sabato 6 novembre, nella suggestiva location dell’antico convento di S. Antonio, oggi sede del Museum of operation Avalanche (MOA), in collaborazione con le associazioni Sophis e Mò Art, si è tenuta l’esposizione fotografica di Oriana Majoli, Testae, presentata dal direttore artistico del museo, Luigi Nobile.

La fotografia, icona di una fase industriale nel pieno della sua espansione, che distrae, o meglio dirotta verso di sé, per un lungo periodo, committenze e pubblico (ad opera di una resa immediata, ‘fedelmente’ realistica), diventa lo strumento di registrazione dello spazio circostante, dai paesaggi ai monumenti architettonici, nel ruolo di documento, e custode di memorie care al ceto borghese e al popolo, in veste di ritrattista. Un prodotto artificioso dalla riproduzione illimitata e a buon mercato, che, costringe, relega l’opera pittorica e i suoi esecutori, ad un settore privilegiato, d’élite.

Testae Moa Eboli

Oriana Majoli, con l’ausilio della polaroid (‘frutto dell’amore tra negativo e positivo’), cerca, mediante una consapevole conoscenza degli strumenti che corredano lo scatto, di cogliere aspetti emozionali e temporali dell’oggetto fotografico. In Testae, i suoi modelli, donne e uomini denudati da ogni vanità accessoria, guidati dalla sua visione concettuale, mutano in effigiati di epoche lontane e vicine. Dalla mitologia alla contemporaneità in un intreccio di gesta e movenze, marcate da un contorno fortemente chiaroscurale, i corpi, balzano aldilà della linea del tempo e del cosmo, fino a giungere ad una realtà alternativa, il sogno, l’illusione, l’inconscio, dove, abbandonata l’anatomia umana, diventano altro. Narratori di luci e di ombre, che materialmente plasmati, divengono contenitori, complemento d’arredo, dei semplici trasportatori di emozioni, dolori e sofferenze, privati dell’attributo caratterizzante dell’identità fisiognomica.

Il taglio, mediante cui lo spazio pittorico invade l’Universo, tanto caro a Lucio Fontana e Alberto Burri, diventa per Oriana, lo strumento che dà il via alla metamorfosi dell’opera, cambiando le sorti del suo destino. Operato poco più che all’altezza della giugulare, il taglio, ospita nella sua tasca, forme di vita vegetali, che, a sostituzione della testa, eliminano ogni volontà, o possibilità di raziocinio. La natura abbigliata di filamenti e colori diversi, ripropone, in modo quasi inverosimile, le pose dei raffigurati, che nella loro immobilità sembrano fluttuare nello spazio. Quest’ultimo, è identificato in un arazzo siciliano dell’Ottocento, dove la balaustra marmorea in primo piano, diventa la porta d’accesso alla fissità di un istante, la ‘farsa metafisica’ di una dimensione teatralmente congelata, in cui motivi floreali abbeverati dal letto di un ‘timido’ ruscello, all’infinito, dialogano con la caducità di una giovinezza accarezzata da ‘albe’ continue.

Testae Moa Eboli

Le immagini fotografiche della Majoli, pilotano lo spettatore in un ‘vortice visionario’, dove, divenuto egli stesso oggetto di studio, tramuta nel ponte di congiunzione tra la lucida realtà e l’ignota oscurità, che alberga nell’umana fragilità.

L’esposizione fotografica è fruibile gratuitamente fino al 27 novembre, negli orari di apertura del Museum of operation Avalanche.

Testae Moa Eboli

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