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Un curdo ad Eboli, l'intervista di Angelo Cariello

EBOLI. Intervista a Murat Kaplan, volontario internazionale al servizio di Legambiente Silaris.

Murat Kaplan aveva sempre sentito dire grandi cose dell’Italia. E quando si è presentata l’occasione di partire per il bel paese l’ha colta al volo. Così, quattro mesi fa è arrivato a Eboli dove, insieme a Thais (che è francese) e Hugo (che è portoghese), forma il piccolo esercito multiculturale di volontari internazionali al servizio del circolo Legambiente Silaris.

Murat – che ha ventisette anni e una laurea in economia – cura orti e giardini, pulisce la spiaggia e va nelle scuole a parlare di amore per il prossimo e per l’ambiente. Il suo lavoro gli piace, così come gli piace la città che lo ospita, Eboli: il centro storico, in particolare, gli ricorda la sua città, Diyarbakir, con la differenza che qui non c’è nemmeno una moschea. In compenso, però, a Eboli Murat ha trovato Rita, studentessa di matematica e volontaria di Legambiente: è bastato un mese ai due per scoprirsi follemente innamorati l’uno dell’altra.

Al di là delle strade che gli indicherà il cuore, Murat si fermerà in Italia solo per un anno, poi dovrà tornare, per l’appunto, a Diyarbakir, nel Kurdistan in Turchia. No, non è un refuso. Il Kurdistan si trova veramente in Turchia. Così come si trova anche in Siria, in Iran e in Iraq.
Il Kurdistan è una vasta regione della Mesopotamia abitata da circa trenta milioni di abitanti. I curdi hanno una propria lingua, una propria cultura e una propria millenaria storia, ma non hanno un proprio stato indipendente: ecco spiegato il motivo per cui la nazione curda si ritrova smantellata in quattro blocchi appartenenti geograficamente e politicamente a quattro stati diversi, quali la Siria, l’Iran, l’Iraq e la Turchia. Inutile specificare che la paternità di questo macello geopolitico è in buona parte “nostra”, cioè occidentale, e risale al trattato con cui – nel 1920, a Sèvres – i vincitori della prima guerra mondiale divisero l’Impero Ottomano, promettendo e prevedendo ufficialmente uno stato indipendente per i curdi, salvo poi tradire clamorosamente la propria parola, di lì a tre anni, con il successivo trattato di Losanna.

Oggi, a distanza di quasi cento anni, i curdi un proprio stato ancora non ce l’hanno. Per di più, in questi cento anni, il popolo curdo ha dovuto subire, nell’agghiacciante indifferenza della comunità internazionale, un vero e proprio genocidio. Solo quel pazzo di Saddam Hussein nel corso degli anni ottanta ha imprigionato, torturato, bombardato, gasato ed eliminato centinaia di migliaia di curdi. Chi è sopravvissuto a questo e ad altri stermini ancora oggi deve fare i conti con assurde politiche razziali finalizzate alla negazione totale dell’esistenza del popolo curdo. Ai curdi era negato, ad esempio, fino a non molto tempo fa, il diritto di parlare e scrivere nella propria lingua. Ai curdi era negato addirittura il diritto di avere un nome curdo. Il vero nome di Murat, infatti, quello suo, vero, curdo, è Egit. «Ma quando sono nato non era ancora possibile inserire il nome curdo nei documenti», mi dice Murat.

 

«Ti manca il Kurdistan?»
«Certo, ho tanta nostalgia. Qui la gente però assomiglia molto alla mia gente: è ospitale e generosa.»

«Non siamo un popolo di razzisti, allora?»
«Credo si tratti di paura, più che di razzismo. Gli italiani hanno paura di perdere il lavoro, la casa, il denaro, insomma, tutto ciò che posseggono. Probabilmente pensano che queste siano le cose più importanti della vita.»

«Non è così?»
«La vita vera è fatta di coraggio, devi essere sempre pronto a metterti in gioco ed essere disposto a sacrificare tutto quello che hai. Se sei coraggioso, allora avrai leader politici coraggiosi.»

«Più coraggiosi dei politici italiani?»
«In Italia ci sono grandi idee, ma i partiti – anche quelli di sinistra – si occupano di cose piccole e senza valore, di feste, meeting e convegni.»

 

«E i politici curdi, invece?»
«C’è l’HDP, il Partito Democratico del Popolo, che si occupa dei diritti di tutte le minoranze presenti in Turchia. È un partito formato da membri di diverse nazioni, capace di rispettare tutti i punti di vista e di porsi come mediatore tra i turchi e i curdi. Uno degli obiettivi dell’HDP, infatti, è trovare una soluzione pacifica alla questione curda.»


«Certo che è difficile la vita per i curdi.»
«Siamo un popolo forte. Forse perché siamo costretti fin da piccoli ad assumerci le nostre responsabilità.»

«In che modo?»
«Io, ad esempio, ho cominciato a lavorare all’età di sei anni. Andavo a scuola, studiavo e nel contempo già lavoravo. I miei genitori mi hanno insegnato tante cose ma tante altre cose ho potuto impararle solo lavorando, in strada, lontano da casa, confrontandomi e scontrandomi con gli altri.»

«Che lavoro hai fatto?»

«Di tutto, ho pulito le scarpe, ho venduto i biscotti, l’acqua, le gomme da masticare. Per i bambini curdi è una cosa assolutamente normale, tutti lavorano. »

«Normale perché necessaria, immagino.»
«Nella mia area la povertà è molto diffusa. Si lavora per vivere. È vero che c’è chi si impegna ad aiutare i poveri, anche il governo turco ci prova ma purtroppo questo non è sufficiente. Bisognerebbe creare un nuovo sistema capace di supportare chi è meno fortunato economicamente. La nostra religione dice esplicitamente che è necessario che ci aiutiamo l’un l’altro. Per chi segue l’islam, questo non è un consiglio, è un obbligo. Peccato che poi in realtà non tutti lo rispettino.»
«Insomma, non c’è giustizia.»
«No, da nessuna parte, purtroppo. Tu vedi qualcosa di giusto in quello che accade al mio popolo in Turchia?»

«So che il governo turco continua a perseguitarvi.»
«Eppure noi chiediamo solo che siano rispettati i nostri diritti. Prima ancora, il nostro popolo chiede che siano rispettati i diritti di tutti i popoli, vogliamo che ognuno possa avere la propria cultura, la propria lingua, la propria libertà. D’altronde, non è possibile essere liberi se non siamo tutti liberi: questo principio è alla base della cultura del popolo curdo.»

«Un principio messo effettivamente in pratica, considerando che siete stati gli unici a fermare quella che è ritenuta attualmente la più grande minaccia alla nostra libertà, ossia l’Isis.»
«Il mio popolo lotta per permettere agli uomini di vivere in un sistema democratico, libero ed equo. Stiamo difendendo la nostra gente e la nostra terra. La città di Kobane, nel Kurdistan in Siria, ad esempio, è una città sacra per noi. Le donne curde che la stanno difendendo eroicamente dall’Isis stanno combattendo, oltre che per il loro credo, per i loro diritti e per la loro libertà.»

 

«Per le donne Isis è in effetti un sinonimo di inferno. In Iraq, i miliziani dell’Isis, dopo aver ucciso brutalmente tutti gli uomini, hanno commesso delle atrocità terrificanti sulle donne, hanno stuprato anche le bambine di sei anni, hanno trasformato le donne curde in schiave sessuali, le hanno vendute per finanziare lo Stato Islamico. Le donne che vivono nei territori controllati dallo Stato Islamico, poi, non hanno nessun diritto, non possono uscire di casa e devono sottomettersi completamente all’autorità dell’uomo.»
«Lo Stato Islamico, le sue leggi e i suoi miliziani non hanno niente a che vedere con la religione islamica. Per l’Islam la donna ha esattamente gli stessi diritti dell’uomo.»

«Un mese fa Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli, ha conferito la cittadinanza onoraria ad Abdullah Öcalan, fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, in carcere ormai dal lontano 1999 per volontà del governo turco. Su cosa si basa il pensiero politico di Öcalan?»
«La filosofia politica di Öcalan si basa sull’uguaglianza tra l’uomo e la donna, sulla libertà di tutti i popoli e sull’ecologismo inteso come necessità di vivere in sintonia con l’ambiente, limitando quindi i tanti danni già causati dall’uomo, in particolar modo dal principio capitalista dello sfruttamento di ogni risorsa naturale possibile.»

«Qual è secondo te il vero sogno del popolo curdo?»
«Noi vogliamo vivere in un sistema democratico e giusto, un sistema che riconosca i nostri diritti e ci permetta di vivere in pace con tutti gli altri popoli. Non abbiamo mai considerato, ad esempio, il popolo turco un nostro nemico. È il governo turco che continua a usare l’esercito e i carri armati per attaccare e uccidere la nostra gente.»

«Eppure la comunità internazionale non si è certo sgolata per denunciare l’atteggiamento criminale della Turchia.»
«La Turchia fa di tutto per nascondere il dramma infinito che sta vivendo il mio popolo. L’America e la Russia, poi, intervengono nelle questioni mediorientali solo per difendere i propri interessi economici e politici. E così il massacro continua e continuano a morire migliaia di civili innocenti.»

«Come fa l’occidente a disinteressarsi completamente della questione curda?»
«Quel che l’Europa non ha capito è che il mondo cambia velocemente e che i ruoli non sono dati una volta per sempre. In questo momento storico siamo noi curdi, insieme ai siriani, agli afgani e agli altri profughi che scappano, ad aver bisogno di aiuto. In futuro, chissà, potrebbero essere gli italiani, i francesi o i tedeschi ad aver bisogno del nostro aiuto.»

 

«E allora siamo già spacciati: per come ci stiamo comportando, ci stiamo scavando la fossa da soli.»
«Non si tratta mica di fare calcoli o di progettare vendette. È semplicemente una questione di umanità, di sentimenti umani. Siamo tutti fratelli, apparteniamo tutti a un’unica grande famiglia: com’è possibile non sentire il bisogno di aiutarci e soccorrerci gli uni con gli altri?»

DI: Angelo Cariello

FOTO: Valentina Gaudiosi

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