Cronaca

Capaccio: omicidio Marandino e Sabia, Cassazione conferma ergastolo per il killer

Una sentenza che, dopo 35 anni, fa calare il sipario definitivamente sul duplice omicidio di camorra

Cassazione conferma la condanna all’ergastolo per Umberto Adinolfi, killer che il 30 luglio del 1986 uccise a Capaccio Antonio Sabia e Vincenzo Marandino, figlio del boss Giovanni Marandino, con l’auto di un complice. Gli ermellini, infatti, hanno ritenuto infondate tutte le eccezioni sollevate dai legali difensori di Adinolfi, detto ‘a scamarda, esponente di spicco della malavita nell’Agro Nocerino-Sarnese. Una sentenza che, dopo 35 anni, fa calare il sipario definitivamente sul duplice omicidio di camorra.

Cassazione conferma l’ergastolo per Umberto Adinolfi

Condannato all’ergastolo in primo grado il 20 settembre del 2017, dopo varie fasi processuali durate 31 anni, la conferma del ‘fine pena mai’ arrivò anche dalla Corte di Assise d’Appello di Salerno il 18 novembre 2019. Non è servito ad evitare il carcere a vita nemmeno il ricorso in Cassazione, con sentenza del 17 febbraio 2021, le cui motivazioni sono state pubblicate solo ieri.

La vicenda giudiziaria

Nel 2009, la doppia condanna all’ergastolo fu annullata dai giudici della Suprema Corte per mero difetto di procedibilità, in quanto l’imputato, arrestato nel 2005 in Spagna dove era fuggito, non era stato ancora estradato. Gli atti furono così rimessi al pm ed il processo cominciò daccapo, conclusosi dunque con la medesima sentenza del primo procedimento, anche a seguito della confessione resa da Adinolfi a 31 anni dal duplice omicidio, ammettendo il delitto spiegando come vennero trucidati Enzo Marandino e il suo autista Sabia, che all’epoca avevano rispettivamente 29 e 26 anni.

Le richieste dei difensori

Gli avvocati del killer avevano chiesto, per questo, la concessione di attenuanti generiche vista la successiva collaborazione con la magistratura, negate però dalla Cassazione in quanto “la confessione è avvenuta molti anni dopo, solo in sede di udienza preliminare ovvero quando il quadro probatorio, ormai, era ben definito a suo carico”.

Fonte: StileTv

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