Economia

Stefano Pigolotti: la formazione in Italia dagli enti bilaterali alle startup

Nel mondo delle imprese, si sente parlare spesso di enti bilaterali. Ma cosa sono? Abbiamo chiesto a Stefano Pigolotti, professional coach, di darci una definizione.

La definizione di ente bilaterale – ci spiega Pigolotti – è contenuta all’interno dell’art.2, lettera h, del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, relativo alla “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30 .

Riportiamo di seguito la definizione:

“Enti bilaterali: organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento”.

Le trasformazioni dell’economia e del welfare hanno fornito agli enti bilaterali lo spazio per crescere ed evolversi, arrivando a fornire servizi per i lavoratori e garantire maggiore produttività per le imprese, specialmente in un mondo del lavoro fortemente frastagliato. Un ente bilaterale consente di armonizzare le diverse esigenze di imprese e lavoratori attraverso strumenti di welfare integrativo e di sostegno al reddito nell’ambito dei contratti collettivi di lavoro. Grazie agli enti bilaterali è possibile individuare il punto di equilibrio tra le richieste di flessibilità delle imprese e le azioni di tutela dei lavoratori. In molti casi, tramite finanziamenti ed erogazione di servizi formativi e reali, è possibile offrire occasioni di crescita, personale e lavorativa, per i lavoratori.

La formazione in azienda è fondamentale, specialmente in periodi di fortissimi cambiamenti tecnologici, come quello in cui siamo immersi, e come dimostrano i dati elaborati da Unioncamere per il 2016, Sono quasi 366.000 le imprese che nel corso dell’anno hanno investito nella formazione dei dipendenti. Inoltre, quasi un impiegato su tre – 3,2 milioni di persone in tutto – ha potuto migliorare le proprie competenze grazie all’attività di aggiornamento organizzata sul posto di lavoro. La formazione e il perfezionamento sono da sempre elementi fondamentali in campo aziendale, specialmente quando consentono di rimediare alla cosiddetta “skill obsolescence”, permettendo ai dipendenti e allo staff dirigenziale di adeguarsi al rinnovamento continuo dei sistemi operativi. In tal senso, nel 73% dei casi l’aggiornamento a cui i dipendenti si sottopongono riguarda le nuove metodologie di gestione di procedure già svolte in azienda. Gli strumenti, però, sono nuovi e necessitano di un periodo di rodaggio. Nel resto dei casi, i fondi sono destinati per il 14% alla formazione dei nuovi assunti e per il 13% all’acquisizione di conoscenze ex novo.

“In un Paese come l’Italia –  conclude Stefano Pigolotti  – dove le micro e piccole imprese sono la grande maggioranza del tessuto produttivo nazionale, la figura dello startupper è, se possibile, più importante che altrove. Per quanto riguarda i giovani che intendano mettere su impresa, l’aspetto principale è legato all’alto numero di compiti che un imprenditore deve svolgere, resa difficoltosa per il basso numero di persone a cui delegare gli stessi”.

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