L'intervista

Coerenza, diritti e paure. In viaggio verso la Giornata Mondiale del Rifugiato

 

Giugno, è sabato e c’è il sole.

Raggiungo telefonicamente Francesco Arcidiacono, presidente del Comitato Provinciale Arci Salerno.

«Presidente?»

«Sì, pronto, eccomi qua.»

«La sento male.»

«Sono in viaggio.»

«Allora la richiamo più tardi.»

«No, no. È un viaggio abbastanza lungo.»

«Costiera amalfitana o Cilento?»

«Niente mare. Sto andando a Roma.»

«Piuttosto impegnativa come gita fuori porta. Va a vedere la mostra di Chagall o quella di Matisse?»

«Nessuna delle due. Sto andando a una manifestazione.»

«Contro che cosa?»

«Beh, contro un sacco di cose. Oggi è la giornata mondiale del rifugiato.»

«Ah, va a dire stop all’invasione?»

«Guardi, sto andando a Roma per manifestare esattamente l’opposto.»

«Sarebbe a dire?»

«Sarebbe a dire che l’unica cosa che bisogna assolutamente fermare è la pericolosissima ondata di xenofobia che sta crescendo in questo paese. È qualcosa di veramente inquietante, un’esplosione di razzismo e di angoscia che una certa parte politica sta deliberatamente e irresponsabilmente montando.»

«Non vorrà farmi credere che lei difende gli immigrati?»

«Certo che difendo gli immigrati. Io difendo tutti i valori e i principi in cui credo, difendo la civiltà, difendo i diritti delle persone, il diritto di vivere, di avere un futuro, di costruirsi un’esistenza, di voltare le spalle a catastrofi, guerre e persecuzioni.»

«La mette sul piano dei diritti?»

«Il diritto di asilo è uno dei diritti fondamentali dell’uomo. C’è anche nella costituzione italiana, articolo dieci comma tre. Tra l’altro, l’Italia è stata tra i primi paesi a formulare il diritto di asilo. Poi, come al solito, ci siamo addormentati. Così oggi manca una legge quadro e ci limitiamo a recepire le normative europee.»

«Ma allora lei non ha capito che vengono in Italia per rubarci il lavoro, per stuprare le nostre donne, per farsi mantenere con i nostri soldi?»

«Queste sono frasi fatte senza senso, luoghi comuni infondati, costruzioni stereotipate che niente hanno a che vedere con la realtà dei fatti. Quello dell’immigrazione è un fenomeno che va semplicemente gestito. L’Italia si è fatta trovare – tanto per cambiare – impreparata, dimostrando di non essere adeguatamente attrezzata e pronta a gestire questo fenomeno. Anche perché sono troppi quelli che urlano e troppo pochi quelli che si rimboccano le maniche e cercano di costruire un valido sistema di integrazione.»

«In che modo?»

«Affidandosi ai valori culturali. La politica svuotata dei principi culturali non serve a niente. La dimostrazione è sotto gli occhi di tutti. Nella vicenda degli immigrati ci stiamo comportando esattamente come fanno gli animali.»

«È colpa della politica?»

«Anche la parte politica alla quale io appartengo si è arenata tra rigidità e schematismi privi di ogni valore. È tutto uno sventolio di bandierine. Ciò che manca è la concretezza. E anche la cittadinanza attiva ha grosse responsabilità.»

«Quali?»

«Si fanno tante, troppe chiacchiere. Le parole lasciano il tempo che trovano. E i progetti di accoglienza e integrazione spesso sono gestiti malissimo. Bisogna darsi una mossa, svegliarsi. Stiamo andando incontro a una spaventosa deriva.»

«Il tramonto dell’occidente?»

«Il tramonto dei diritti fondamentali dell’uomo.»

«Addirittura?»

«Il rischio c’è. Ci svegliamo una mattina e scopriamo di aver perso un diritto. Questa è la mia paura.»

«In effetti, è una prospettiva piuttosto agghiacciante.»

«Più che una prospettiva, è ciò che sta già accadendo. Ieri, ad esempio, un autista del servizio pubblico non ha fatto salire sull’autobus una donna di colore.»

«Dove? In Sudafrica?»

«No, a Salerno. E di episodi simili ne succedono tanti. D’altronde, se i media continuano ad amplificare all’infinito le chiacchiere da bar, non è difficile capire che le cose andranno sempre peggio.»

«Aspetti. Vediamo se ho capito. Lei ha paura di perdere i suoi diritti ma non ha paura degli immigrati?»

«Perché dovrei aver paura degli immigrati? Perché mai dovrei consegnarmi a una paura indotta? Non c’è niente di cui avere paura. E poi non è nemmeno tanto difficile rintracciare l’epicentro di questa paura. Ha presente il perturbante descritto da Freud?»

«Sì, c’ho fatto un esame all’università.»

«La colpa degli immigrati è di far riaffiorare qualcosa che avevamo rimosso e ormai sepolto nelle profondità dell’inconscio. Il venditore di fazzolettini che si avvicina al semaforo scatena un dualismo affettivo. I sentimenti di estraneità e di familiarità che si manifestano contemporaneamente si risolvono nella scomoda sensazione di riconoscersi nel venditore di fazzolettini.»

«Quindi gli immigrati ci fanno paura perché ci riconosciamo in loro?»

«Esattamente. Ci obbligano a riconoscerci nella categoria degli ultimi. Questa è la causa della paura. Tuttavia, è una cosa che si può superare.»

«Come?»

«Smettendo di ascoltare gli urlatori e cominciando, invece, ad ascoltare loro, i profughi, i rifugiati, gli immigrati.»

«Profughi, rifugiati, immigrati: che differenza c’è? »

«Il profugo è una persona che scappa dalla propria terra perché perseguitato o perché fugge da una guerra. Quello di rifugiato è uno status sancito dal diritto internazionale. Anche il rifugiato scappa dal proprio paese perché vittima di discriminazione o per salvarsi dalla guerra. In fondo, si tratta di una distinzione giuridica, sono dettagli tecnici che non cambiano di una virgola la realtà dei fatti.»

«E cioè che chi si emigra per andare a cercare fortuna altrove?»

«No, che la fortuna in questa faccenda non c’entra niente. Nessuno vorrebbe abbandonare la propria terra. La distinzione tra migranti forzati e migranti economici è un gigantesco controsenso. La verità è che tutti i migranti sono migranti forzati.»

«E come la mettiamo con l’Isis? Se i migranti fossero loro agenti?»
«L’altro giorno parlavo con una persona di una signora siriana ospite, insieme alla sua bambina, del progetto SPRAR che curiamo come Arci Salerno. Ho dovuto costatare che la propaganda razzista dei media ha attecchito anche tra persone istruite e civili. Quella signora siriana è fuggita dal proprio paese perché di religione cristiana e, quindi, perseguitata. Associare la sua esigenza vitale di salvare se stessa e la propria figlia dallo sterminio dei cristiani in atto in Siria a chissà quale organizzazione terroristica la dice veramente lunga. »

«SPRAR, ha detto. Che cos’è?»

«È il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. È una rete di enti locali che, insieme agli operatori del terzo settore, garantisce interventi di assistenza integrata.»

«In che senso integrata?»

«Nel senso che questo progetto non si limita a offrire ai rifugiati solo vitto e alloggio.»

«Come fanno, ad esempio, gli albergatori che ospitano i profughi?»

«La vicenda degli alberghi è una delle classiche anomalie del sistema italiano. Quando è esplosa l’emergenza, l’Italia si è trovata del tutto impreparata e ha provato a risolvere la faccenda ricorrendo a misure a dir poco arrabattate, come ad esempio trasformare all’improvviso imprenditori e albergatori in operatori sociali. Certo, la torta era invitante e tanti vi si sono lanciati sopra. Oggi lo SPRAR ha assorbito molte situazioni simili, imponendo e garantendo così l’adeguamento agli standard imposti dal progetto.»

«Di che standard si tratta?»

«Con lo SPRAR si lavora in tre macroaree: accoglienza, tutela e integrazione. Si va dall’assistenza legale e sanitaria alla formazione attraverso i corsi di italiano e i tirocini lavorativi. Insomma, per ogni destinatario si costruisce un percorso individuale di inserimento socio-economico.»

«E funziona?»

«Quando si lavora con professionalità e coerenza le cose funzionano per forza. Noi, come comitato Arci, ci occupiamo di SPRAR da una decina di anni, ormai.»

«Quindi lei ha a che fare direttamente con i rifugiati?»

«Certo che ho a che fare con loro. Come comitato lavoriamo anche con le vittime di tratta, donne immigrate finite nel tritacarne della prostituzione e uomini immigrati ridotti in schiavitù nei campi.»

«Ha mai chiesto loro perché vengono in Italia?»

«Personalmente, è una cosa che non chiedo. Spesso però, prima del colloquio con la commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, mi capita di dover ricostruire insieme a loro la memoria di queste persone, la loro storia, il loro passato. Allora, in questi casi, sono obbligato a chiederlo.»

«Altrimenti preferisce porre altre domande.»

«Ho di fronte persone che vivono un gravissimo disagio psicologico. Noi lavoriamo sulla loro identità, sul loro status di persone prima ancora che di rifugiati. Recuperare la loro identità è un passaggio fondamentale per rinsaldare la storia presente con la loro vita passata. Per questo a chi mi sta di fronte chiedo come si chiama sua madre o sua sorella. O il modo esatto in cui si pronuncia il loro nome.»

«Non ci azzecchiamo mai con i nomi stranieri, è vero.»

«Il nome è il baluardo dell’identità. La prima violenza che subiscono gli stranieri in Italia è lo stravolgimento completo del loro nome. È importante pronunciare in modo esatto un nome. È la prima manifestazione di rispetto.»

«Sono d’accordo. Tuttavia, continuo a non capire perché dovremmo farci carico noi dei loro problemi.»

«Perché non possiamo fare altrimenti. Bisogna affrontare questo fenomeno in maniera lucida. Certo, la politica dovrebbe assumersi le proprie responsabilità, costruendo delle azioni serie d’intervento nei paesi di origine dei profughi, ma ci vorrebbe una volontà ferma e gigantesca che oggi manca completamente.»

«Bisogna accoglierli tutti, quindi?»

«L’Italia è un paese fondamentalmente cattolico. Che cosa insegnano i testi e i precetti del cattolicesimo? Ecco, al di là di tutto, basterebbe un minimo di coerenza, una volta finita la messa della domenica.»

«La bellezza della coerenza salverà il mondo?»
«La coerenza e il rigore guidano il nostro operato e i progetti di cui ci occupiamo. Il mondo lo stanno già salvando gli immigrati, facendo i lavori che nessuno vuole fare più e tenendo economicamente in piedi questo paese. Questo è un dato di fatto. Tutto il resto sono frottole e strumentalizzazioni. »

«Presidente, mi scusi, ma io continuo a sentire un forte vocio. Quanti siete in macchina?»

«Guardi, a dire il vero sto viaggiando in pullman.»

«È un autobus di linea di quelli che prendevo anch’io quando studiavo a Roma?»

«No, è un autobus organizzato dal comitato Arci Salerno per andare a Roma a manifestare.»

«Ma allora ci tiene davvero?»

«Certo che ci tengo. E nell’autobus, qui con me, ci sono una trentina di rifugiati ospiti dei nostri progetti. Anche manifestare è un diritto importante.»

«Buona manifestazione, allora. E buon viaggio.»

«Grazie.»

«Grazie a lei. Ah, aspetti un attimo! C’è qualcosa che non va. Abbiamo fatto un’ intervista sugli immigrati senza citare nemmeno una volta Salvini.»

«Gli avversari meno li citi e meglio è».

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