Cronaca

Cilento, Iannuzzi tuona: «La legge sui Parchi rischia di distruggere i piccoli comuni»

VALLO DELLA LUCANIA. «Con la nuova riforma della legge sui Parchi, i piccoli comuni rischiano di essere privati dei beni demaniali». Questo è l’allarme del presidente della Comunità del Parco del Cilento, Salvatore Iannuzzi, che ha deciso così di cassare il testo di legge appena licenziato dal Senato con una nota inviata al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al presidente della Commissione ambiente del Senato, Giuseppe Francesco Maria Marinello. «La nuova legge sui Parchi nazionali – spiega Iannuzzi, che è anche sindaco del Comune di Valle dell’Angelo – prevede la cessione dei beni demaniali dei Comuni ai soggetti gestori delle aree protette, a titolo gratuito». Pare si tratti di una novità legislativa che «finirà di impoverire i nostri centri con un ulteriore riduzione delle entrate che rischia di compromettere irrimediabilmente le casse dei piccoli Comuni del Parco», tuona Iannuzzi. «I Comuni insistenti in un’area parco non solo non debbono essere privati delle poche entrate patrimoniali di cui dispongono ma, al contrario – mette in chiaro il presidente – occorre trovare forme di aiuto e di restituzione per i sacrifici economico-sociali a cui sono sottoposti».

A detta di Iannuzzi, la legge riforma dei parchi contemplerà «misure di tutela socio-economica delle comunità insistenti in aree protette, soprattutto se già classificate come zone di disagio, quali ad esempio: bonus nella gestione dei servizi comunali, deroghe e supporti nella organizzazione dei servizi essenziali al cittadino, sgravio fiscale per le attività economiche». E un’area protetta costerà più che vivere fuori: «In un piccolo paese del Cilento – spiega Iannuzzi – il costo della vita è maggiore che in città capoluogo come Salerno o Napoli. La comunità nazionale deve compensare le popolazioni del Parco per i limiti e le restrizioni imposte dal regime protezionistico della natura». «Ad esempio – dice Iannuzzi – costruire un’abitazione in un Parco costa molto di più: richiede materiali particolari e costosi (pietra locale, infissi in legno, tetto in coppi etc). Anche coltivare un terreno diventa faticoso: bisogna condividere il raccolto con cervi e cinghiali; gli allevatori invece condividono mucche e pecore con i lupi». «Lo Stato – osserva – non ha sempre garantito nelle aree protette una reale e concreta promozione e crescita del territorio, pur avendo ottenuto, quale corrispettivo, una formidabile conservazione di un pezzo importante di patrimonio ambientale per la intera umanità». Che segue un depauperamento antropico ed economico dell’area protetta e sentimenti di ostilità da parte delle comunità locali.

Fonte: La Città

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